Il design milanese, tra esperienza e social. La città non è più sold out al Salone del Mobile

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Il design milanese, tra esperienza e social. La città non è più sold out al Salone del Mobile

Ne scriviamo dopo un mese – per pensarci e ponderare bene. Il Fuorisalone ed il Salone 2015 perdono smalto: si trovavano hotel che affittavano ancora stanze dall’oggi al domani, nessuna attesa (in nessun quartiere) per i taxi e/o i mezzi pubblici (ricordate i viaggi della speranza per andare a Rhò? Ora si trova pure posto a sedere in metro nelle ore di punta). E’ parte colpa della crisi che riduce la presenza dei buyer in città ma anche, forse, colpa della ripetitività di certi stand e di certe proposte e, fuori fiera, della piega salamelle e ubriacate che hanno preso alcuni distretti, Tortona e Lambrate uber alles. I tassisti raccontano: prima i turni erano liberi, accendevamo i motori quando iniziavamo e li spegnevamo quando eravamo esausti ma c’era ancora da fare. Oggi facciamo fatica a riempire un turno!

 

Tornando a quanto in mostra quest’anno, tra Fiera e fuori: le proposte più innovative sono ancora, tutte, attorno all’esperienza e al lifestyle (al concepting più che al prodotto od accessorio in senso stretto) e alla semantica dell’oggetto e della funzione. Nel senso più industriale del termine, resta forte e aggressivo il posizionamento nel timeless e nel made to measure, sia per brand consolidati sia per piccole esperienze industriali di nicchia (e d’oltreoceano).

 

Curiosamente, l’unico player che non appartiene al mondo del design (ma ha rivoluzionato quello dell’abitare e del viaggiare, parliamo della community californiana e fortunata start up milionaria Airbnb) ha centrato – con l’aiuto di una famosa scuola internazionale come Fabrica – le parole d’ordine del momento della furniture industry: esperienza, condivisione, appartenenza a qualsiasi luogo (quindi a nessuno).

E’ nel fuggevole attimo dell’incontro e della sosta che totalizziamo un contatto - che può essere duraturo - con culture, stili e oggetti. La fortuna di Airbnb è stata costruita su questo e il design in questo caso la traduce soltanto, si fa veicolo di fatti e di oggetti.

 

Airbnb e Fabrica s’impossessano di una delle proprietà più belle di Milano, Palazzo Crespi (con la complicità di Vannozza Guicciardini, squisita padrona di casa che tra poco intervistiamo su Slow Words).

Non è stata una mostra (e non si accedeva come se fossimo in un solito showroom del design) ma è stata un appuntamento da prendere (come se fosse un concerto, dovevi registrarti su un noto portale di eventi per entrare) o un libro da sfogliare, o un bar dove incontrare menti brillanti, ed ancora, soprattutto, atmosfere da attraversare.

Oltre l’abitare, 19 designer hanno tradotto il senso dell’appartenenza ad una cultura altra nel momento della sua condivisione con un ospite di un paese diverso.

Accolti da Directions to Somewhere (un curioso gioco da tavolo e portatile, una mappa creata a partire da indovinelli e domande, da Coralie Gourquechon per ciascun ospite disposto a giocare), il viaggio tra gli stili di vita è proseguito tra candele che diventano room divider (quelle di burro e cotone della indiana Nikita Bathe), tra appendiabiti che del pari funzionano come strutture che ridisegnano spazi (geniale, ed anche il prodotto più intelligente visto alla design week 2015, quello di Pascal Hein). E tra deliziosi progetti che stanno in bilico tra gesti d’arte e design come un’app che naviga la casa in cerca di esperienze fiction (precostruite) fino a specchi ricavati dai vassoi in cartone d’alimenti per dolci (la veneziana Giorgia Zanellato, autrice e designer già vista all’opera lo scorso anno al Satellite con la collezione di tessile Acqua Alta, li fodera real time con carta pregiata disegnata a mano e il pubblico apprezza: due signore ne hanno acquistato un esemplare ciascuno il primo giorno di mostra).

Housewarming, questo il titolo della mostra meteora di Airbnb e Fabrica, ha anche un catalogo che vi consiglio di procurarvi: le pagine sono cucite a due a due, occorre tagliarle con un tagliacarte (oppure, se siete riusciti a procurarvele, con le carte della fortuna disegnate apposta per la mostra da Catarina Carreiras) per scoprire il contenuto nel risvolto. Una serie di proprietà di host in giro per il mondo, listate su Airbnb e collegate alla nazionalità dei designer coinvolti nel progetto: ça va sans dire vengono da anywhere!

 

Airbnb vira decisamente verso il lusso e verso il social, ma altrettanto fanno una serie di altre proposte bottom-up che abbiamo notato emergere dalla massa indistinta e ripetitiva di design senza sapore ne’ direzione. Come gli experience designer Studio Appetit ed i loro suggestivi table sets per pranzi in cui conformismo non è certamente la parola d’ordine.

 

Lexus, accanto al suo tradizionale Award dedicato alle firme giovani del design, trionfa con un ristorante ad personam, un tortuoso labirinto dove fare, meglio se da soli, tre diverse esperienze (gustative, olfattive, ambientali), una delle quali immerge nella pioggia il proprio corpo in ogni direzione possibile (a cominciare dalla lingua, per cui è stato disegnata una caramella in grani in grado di sciogliersi frizzando esattamente per trasferire nella vostra bocca la sensazione delle gocce di pioggia che tamburellano insistenti sul selciato caldo durante un improvviso temporale estivo).

Disegnato da Philippe Nigro, il ristorante (A Journey of the Senses) è un’idea di un pluridecorato food designer giapponese (in passato era un informatico che ha deciso di seguire le sue passioni senza riguardare indietro): Hajime Yoneda.

 

L’unico a suggerire una corretta esperienza (per il pubblico) di semantica degli oggetti è un belga, Benjamin Loyautè (designer, critico, curatore ed artista, lo intervisteremo sul prossimo numero di Slow Words).

Al Centre Culturel Francais ha presentato (peccato che la mostra non sia rimasta di più) Le Bruit des Bonbons (The astonishing Candy Power). Un viaggio (di segni e di significati) sul dolore della guerra e sulla resistenza umana ed emotiva di una collettività tutto dedicato alla Siria, dove al centro vi è una caramella (fatta apposta per l’occasione a partire da una forma iconica per i siriani, un omino con gli occhi grandi, l’idole aux yeux) al sapore di rosa si trasforma in linguaggio e cura (viene regalata come pacchetto di medicinali).

 

Oltre l’esperienza, il design visto a Milano quest’anno si esercita molto sulla ricreazione, in chiave al 100% artigianale, del vintage come stile. Gabriel Hendifar e Jeremy Anderson (Studio Apparatus) disegnano lampade e chandelier dal sapore d’altri tempi ma fabbricati oggi con curiose esplorazioni – e prese in prestito - di accessori e temi retrò rivisitati non solo in chiave funzionale. Sono anche in vendita in una galleria di New York che ha aperto una succursale milanese (tutto l’anno): si chiama BDDW e spiega in poche parole la sua filosofia: mobili ben fatti perché mica solo li vendono, li producono con cura e in prima persona.

I proprietari, un team coeso e simpaticissimo, hanno anche una birreria e altre produzioni artigianali negli States, amano un certo buon gusto d’altri tempi e si ostinano a produrre negli Stati Uniti ognuna delle loro proposte e di quelle dei designer che collaborano con loro (dopo la cura da cavallo di Obama per il manifatturiero made in US, diverse sono le esperienze fiorite in ogni stato del vasto paese).

Ancora handmade in US, stavolta vista in fiera ad Euroluce, è Niche Modern, giovane azienda che si occupa solo di lighting in vetro rigorosamente prodotto a New York. Pezzi semplici, dai colori strazianti per quanto sono fantastici, lasciano tutti vedere – è proprio uno statement! - il bulbo, il corpo illuminante: dai pluripremiati Plumen ai deliziosi cilindri vintage Beacon Bulb.

 

Alcuni brand come Trussardi rinunciano alla sbornia Fuorisalone e pensano, bene, solo al Salone del Mobile. La maison milanese del lusso decide di scendere poco a compromessi e dopo una collezione dal sapore forse troppo industriale firmata l’anno scorso da Young, scommette su un total home look di Carlo Colombo chiaramente dedicato ad un pubblico più adulto e di fascia ancora più abbiente. Colombo ritorna alle esperienze della modernità milanese timeless, quella venuta fuori dopo l’austerità dei ’70 e dopo la sbornia kitsch degli anni ’80 (ma interamente recuperata dai nostri Fifties), che regala forme sobrie, dettagli artigianali dai colori di straordinaria eleganza (tutti i vassoi e gli accessori da tavola sono particolarmente rilevanti).

 

 

Migliore stand visto in fiera quest’anno è quello di Moroso, che presenta nuovi pezzi con David Adjaye. Parola d’ordine, come sempre: all made to measure.

 

Anche se su scala completamente artigianale (e con un processo molto incontrollato rispetto a quello che avviene normalmente nelle officine di grandi aziende come quelle citate), colpisce il made to measure di Anna Badur (giovane designer di Berlino vista al Salone Satellite, quest’anno molto meno esteso e dalle proposte meno brillanti): parliamo di Sierra, Aera e Onda tre diverse collezioni di mattonelle di ceramica dipinte grazie a processi naturali di assorbimento dell’acqua. Della stessa designer, anche Concrete una panca con cuscini che non sono morbidi e di gomma ma di cemento. E’ naturalmente una panca perfetta per esterni.

Al Satellite, da appuntarsi per il futuro, anche i mobili/silhouette di ferro di Officine Calderai e i Copper Hooks di Atelier Max Lipsey.

 

Finiamo con un’esperienza di total furniture made to measure che rimane tale (senza inseguire altre strade) ed ogni anno presenta una collezione indovinata: parliamo di MOOOI, azienda di Marcel Wanders e Casper Vissers che l’hanno recentemente riacquisita da B&B. Tra le novità di quest’anno, oltre ovviamente l’acquisizione, quelle più rilevanti ci sono sembrate due.

La prima: MOOOI si dota di una incredibile divisione dedicata, esclusivamente, ai tappeti: presentati in anteprima a Milano, sono spesso firmati da autori di altri campi rispetto al design; in una specifica sezione del catalogo (anche online) il cliente può “crearsi” il proprio, non solo su misura ma scegliendo il pattern, la stoffa ed i colori.

La seconda: con un allestimento come sempre straordinario (e le foto di Rahi Rezvani), la dinamica furniture house presenta una nuova famiglia di lampade dal sapore industriale ma dallo stile caldissimo, avvolgente e componibile a piacimento. Versatili anche per il fatto di essere realizzate in 25 colori a catalogo: parliamo delle Statistocrat firmate da Joep Van Lieshout (che è anche un artista visivo), non nuovo a collaborazioni con il brand.

In realtà, non siamo solo di fronte a delle lampade da pavimento o da sospensione, ma a vere e proprie “stazioni” di arredo. Possono essere un mobile da bagno, da toletta e un angolo studio insieme grazie a piccole pensiline e tubolari customizzabili. E ovviamente, illuminano. Molto bene.

 

Ci lasciamo con una curiosità molto incisiva – quasi un memento mori o se volete una provocazione - prima di riprendere il viaggio, a questo punto concedetecelo: dell’inutilità, per tutte le fiere di design 2015.

La curiosità, provocazione o memento mori è quella di un piccolo editore olandese di design che al Fuorisalone decide di andare in controtendenza e presenta (solo) un libro (anche se ovviamente lo fa da Rossana Orlandi per cui speriamo per lui che abbia venduto bene le edizioni deluxe con quello che costa l’affitto spazio).

Parliamo di Thomas Eyck: anche con i fondi di due colossi olandesi dell’internazionalizzazione (come il Creative Industries Fund NL e Materiaal Fonds) edita un libro-ricerca della designer Christien Meindertsma che analizza (e fotografa, con Mathijs Labadie) le ceneri di combustione dei rifiuti, scoprendo un tesoro di elementi e minerali al suo interno. Parliamo di Bottom Ash Observatory, solo 79 euro per la versione standard.

Sempre nel luxury suk di Rossana Orlandi, quasi nascosto in uno stand affittato da altri, un progetto del pr della minuta ex fashion designer che si aggira incontrastata, nascosta dai grandi occhiali da sole bianchi. Parliamo di Marco Tabasso (suo braccio destro e sua stampella sinistra, già all’opera con un suo brand di lighting l’anno scorso): lo firma con sua moglie (la fotografa Tatiana Uzlova) ed il designer Robert Anderiessen. Anotherview è un video-messaggio a forma di finestra (vintage). Un infisso recuperato incastona una proiezione, totalmente customizzabile, di giorni e vedute per chi è privo di panorami. Interiori o esteriori? L’idea sembra parzialmente già vista (ad Arco ed ad Art Basel qualche edizione fa: rispettivamente un oblò da crociera in versione algida deluxe che riproduceva un panorama in video ed infine una collezione di panorami di Philiph Lorca di Corcia ma su polaroid), ma è rielaborata in modo geniale.