Anagoor, il coraggio civile della parola e della cultura contro il razzismo

La Biennale Teatro, Atto Secondo di Latella, fino al 5 agosto a Venezia

sezione: blog

30-07-2018
categorie: teatro, performance,

» archivio blog

Anagoor, il coraggio civile della parola e della cultura contro il razzismo

La Biennale Teatro, Atto Secondo di Latella, fino al 5 agosto a Venezia

Un festival di teatro tutto nuovo, che si attesta in una specialità ancora non percorsa in Italia - a metà tra scuola di formazione e fucina di nuovi talenti. E’ la Biennale Teatro che dall’anno scorso è affidata al regista italiano Antonio Latella. 

 

Il Festival 2018 (Atto Secondo, fino al 5 agosto) è dedicato al bacio come prova attoriale (l’anno scorso si era incentrato sulla prova del regista e sulla pratica dell’inchino) e indaga la sottile linea di confine tra il lavoro dell’attore puro e del performer che secondo il curatore è difficile da separare dal primo, se non forse per la minore dose d’intervento del regista o la irripetibilità, spesso, della prova. Di sovente agita in spazi non conformi e non sempre teatrali, con una diversa relazione con il pubblico.

 

Il Leone d’Oro alla carriera va quest’anno ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella che al festival, oltre all’incontro col pubblico, hanno portato 7-14-21-28, Fratta X. Il loro discorso di accoglimento al premio è stato molto ilare e tagliente, come nel loro stile con un commovente ringraziamento della Mastrella alla città di Venezia dove si è formata.

 

Il Leone d’Argento ad Anagoor, la compagnia che gioca in casa (la loro Conigliera è dalle parti di Castelfranco Veneto) e che ha registrato la più incredibile performance (in Italia e all’estero) costruita soprattutto per un rapporto con l’arte ‘totale’: fanno tutto in casa, dai video alle traduzioni alla scrittura dei testi fino ai costumi (mirabili) e alle scene. 

Fondata nel 2000, riceve i primi riconoscimenti nel 2008, il primo invito alla Biennale Teatro nel 2011 (da Rigola) e parte per la prima tournée internazionale nello stesso anno. Il Napoli Teatro Festival, RomaEuropa e tutti i maggiori festival europei hanno ospitato loro produzioni.

 

In occasione della conferenza stampa e di premiazione (tenutasi in apertura del festival), i fondatori di Anagoor che hanno ritirato il premio (Simone Derai e Paola Dallan) hanno rilasciato una dichiarazione che ha strappato un’ovazione in tempi molto sinistri per questo paese dove l’esplosione del razzismo senza motivo (che ricordano ai più un ritorno al fascismo) soprattutto nella regione dove risiedono è motivo d’ansia. 

‘Siamo emozionati per questo premio e non ci siamo preparati un discorso, preparatevi andremo quindi a braccio! Innanzitutto ringraziamo Antonio (Latella) per averci dato la possibilità di sviluppare l’Orestea che vedrete in prima assoluta, senza di lui non ce l’avremmo fatta. Il Leone preferiamo pensarlo come liberato piuttosto che come un leone sinistro che chiede chiusura. Il teatro è l’arte più effimera ed è quella che convoca tutte le altre, è una casa molto aperta che ha scelto per sé la natura di questo mondo che è qualcosa che si trasforma e parla del mutamento, della trasformazione e che ci invita ad allenarci ad accoglierle - ad accogliere anche il dolore del mutamento’.

 

La loro Orestea /Agamennone, Schiavi, Conversio - una prima assoluta sponsorizzata dalla Fondazione di Hermes, tra le altre, e dal Lanificio Paoletti - è quattro ore di magia e di estasi in cui la rilettura (da loro operata) e la traduzione della famosa tragedia si intreccia ad altre due storie parallele recitate grazie alla memoria prodigiosa di Marco Menegoni. La prima parte registra un sostanzioso ancoraggio alla cruda attualità del Mediterraneo meridionale e ci riporta alle stragi delle migrazioni e ai tormenti socio-politici senza troppe perifrasi (particolarmente suggestivo è un video firmato dalla compagnia: una mappa che brucia sott’acqua).

 

31 sono i titoli rappresentati per un totale di 48 repliche; 20 sono le novità, di cui altre cinque (oltre Orestea) in prima assoluta.

 

Alla centralità del tema Attore – Performer, sono dedicati gli incontri con gli artisti presenti aperti al pubblico e gratuiti (al Giardino della Marceglia, a pochi passi dall’ingresso dell’Arsenale) e un simposio con Chris Dercon (Direttore artistico Volksbühne di Berlino), Paweł Sztarbowski (Co-Direttore Teatr Powszechny di Varsavia), Bianca Van der Schoot (già Direttrice artistica RO Theater di Rotterdam e performer), Armando Punzo (regista, fondatore della Compagnia della Fortezza, già Direttore artistico Volterra Teatro).

 

Sulla stregua del primo festival curato da Latella qui a Venezia, anche per Atto Secondo vi è una sorta di ‘verticali’ sul lavoro delle compagnie (noi usiamo il termine di ‘assaggio’ dei vini, ma se si usasse quello dell’arte come fa Latella, sarebbero delle mini personali delle compagnie invitate). 

 

Saranno anche in scena le prime produzioni di giovani artisti (Oblò di Giuseppe Stellato) e del College con Spettri, un classico di Ibsen riletto da Leonardo Lidi, vincitore del primo bando dedicato ai registi italiani under 30 di Biennale College – Teatro. Il bando, per volontà del Direttore Latella, aveva attribuito una menzione speciale a Fabio Condemi, che sarà al Festival con Jakob Von Gunten, ispirato dall’omonimo romanzo-diario di Robert Walser.

 

I laboratori con i giovani attori, registi e performer che sono stati selezionati per le masterclass scorrono paralleli alle visioni per il pubblico. 

 

Il catalogo quest’anno è un libro, tutto da leggere, anche per chi il festival non potrà vederlo. Concepito grazie ad un attento e strenuo lavoro durato nove mesi, parla per il direttore che come sempre è schivo (o timido?) in conferenza stampa e che ha voluto solo ringraziare di cuore Paolo Baratta che lo ‘aiuta a navigare’ e, appunto, raccontare cosa avremmo potuto leggere nel grande librone verde (Euro 14, edizioni La biennale.org).

 

Lo abbiamo letto, tutto d’un fiato. Si tratta di un libro inaspettato, che conduce dalle lacrime al riso più volte durante la lettura - dove le sinossi degli spettacoli in realtà annegano in un corpo a corpo con la poetica delle compagnie invitate attraverso cinque insolite e acute domande (anche, talvolta, molto personali) e attraverso la richiesta di esprimere loro ‘decalogo’ professionale. La grafica, curatissima, spesso alterna parti dattiloscritte a pezzi di lettere con la grafia degli attori. Ancora una volta il verde è il colore dominante di Atto Secondo.

 

Poesia, ironia, sagacia e tanta professione ne fanno un libro indispensabile da conservare e rileggere di tanto in tanto. Per una volta tanto non solo dagli addetti ai lavori ma da chi il teatro vuole per una volta capirlo davvero e respirarlo come una scoperta.

 

 

Rivelazioni giovani: Stellato e Condemi

 

Il napoletano Giuseppe Stellato (già prodotto dalla compagnia di Latella, stabilemobile insieme ad altre realtà come l’Ex Asilo Filangieri di Napoli) e il trentenne ferrarese Fabio Condemi (coadiuvato dal quasi 34nne Fabio Cherstich) impressionano il pubblico italiano e straniero per la maturità della loro scrittura teatrale, delle scene sofisticatissime nel loro essere scarne e di un linguaggio nuovo da tutti i punti di vista: sia che si tratti di una pièce in cui tecnologia ed ‘acrobazie’ culturali la fanno da padrona sia che si tratti di un adattamento (fedelissimo) di un romanzo al teatro.

 

Mind the Gap (2018, 30’) è uno dei due lavori che Stellato ha portato ad Atto Secondo.

Un distributore di acqua e merendine diventa ‘jukebox’ del creato - dalle voci del viaggiatore, alle urla di chi scappa - grazie ad un’invenzione che dall’audio si sposta al colore e alla materia. In mezzo un colore, il giallo, che è sì quello della linea da non oltrepassare - il confine, fisico ed immateriale, del gesto - ma anche quello delle possibilità, dell’imprevedibile e come vedrete se assisterete alle repliche, della scoperta.

 

Da vivere come un’installazione e come una pièce insieme, è sicuramente un’opera complessa in cui ogni minima azione è studiata per le sue qualità plastiche e sonore innanzitutto, poi per la sua grande capacità metaforica. La durata, dettaglio non secondario, è semplicemente perfetta.

 

Jakob von Gunthen (2018, 70’) è una prima assoluta del giovane regista Condemi che si affida al suo sodale e collaboratore (nonché avido lettore, del pari, di Robert Walser) per portare in scena alcune pagine centrali dell’omonimo romanzo di formazione del famoso autore autodidatta e recluso per la maggior parte della sua vita (per volontà sua).

 

Iniziamo dagli applausi: infiniti per un’opera prodotta dalla romana Fattore K. che ieri è stata mostrata la prima volta e che quindi ancora non si conosce cosa costerà e che circuitazione avrà. Quello che si sa è che è un’opera di una maturità straziante per un gruppo così giovane e formatosi attorno ad un’idea che ha vinto una menzione d’onore ad un meritevole bando solo l’anno scorso.

 

Due studenti di una scuola per maggiordomi si confrontano con estrema e grottesca ironia con l’assenza di formazione vera e si attrezzano per aderire alla forse più cospicua idea di Walser, diventare uno zero - scomparire, una controtendenza rispetto alle sempre maggiori dosi di potere e di rivalsa che sembrano animare le società contemporanee, la nostra e quella dello scrittore.

 

Accanto alla trasposizione ‘letterale’ delle pagine del romanzo (che a tutti ora è venuto voglia di leggere), si affianca una lettura sofisticatissima fatta di scene curate in ogni dettaglio in cui l’arte da Capri-Batteria di Beuys fino alla femmina/terra di Abramovic ed oltre è citata con grandi amplificazioni personali di temi e correnti  - ed in cui i tempi, le luci, gli straordinari e duttili costumi fanno supporre un’esperienza professionale di almeno dieci anni in più - e una coreografia perfetta: tutti e tre gli attori (in particolare Lavinia Carpentieri, ma anche il grandissimo Gabriele Portoghese e Xhulio Petushi altrettanto straordinario) oltre a cospicui pezzi recitati sono chiamati ad una prova fisica non comune e alla tenuta di posizioni che non possiamo definire tersicoree in senso stretto ma che hanno richiesto una grande dose di lezioni posturali. 

 

Una piccola nota in conclusione perché l’ultima cosa che farei è svelare la trama o alcune trovate sceniche perché mai come per questo spettacolo raccontarlo prima ne diminuirebbe grandemente l’effetto: molti (nelle arti e nel teatro) hanno usato l’acquario con i pesci rossi come forma scenica, come elemento di racconto o come parte scultorea prepotente soprattutto in cambi di passo della narrazione. In questo caso, invece, ne vedrete un uso veramente nuovo, che ricorderete per molto tempo (e che forse, molto alla lontana, guarda alle Pissing Series, meglio conosciute come Immersions, di Andres Serrano).

 

#AttorePerformer