Cosa succede all'Europa dei Festival

tutte le discipline fanno le prove del 'new normal' e vanno in scena

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14-09-2020
categorie: Architettura, Arte, Corporate, Cinema, teatro, performance, Poesia,

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Cosa succede all'Europa dei Festival

tutte le discipline fanno le prove del 'new normal' e vanno in scena

L’Italia dei festival riparte ad agosto e settembre e sembra confermare i più importanti appuntamenti sino alla fine dell’inverno: cinema, teatro, letteratura e musica dal vivo (dalla classica alla contemporanea, dall’elettronica al blues…) ritornano dopo mesi di stasi all’insegna del new normal con nuove formule di accesso (la bigliettazione elettronica e il paperless i nuovi must) che si accompagnano giocoforza a corpose diminuzioni di posti a sedere per garantire il distanziamento sociale.

 

Secondo l’AFIC (l’Associazione Festival Internazionali di Cinema), tra gli 88 film festival internazionali associati programmati con almeno 4 edizioni alle spalle programmati subito dopo il lockdown solo 17 hanno cambiato data, uno annullato e quattro posticipati a data da definirsi al momento in cui scriviamo. 

Tutti i più importanti nel nostro paese si svolgeranno addirittura nelle date consuete.

 

La Mostra del Cinema di Venezia, primo festival internazionale ‘tra i grandi vecchi’ a ripartire (e Toronto l’ha seguita subito dopo) ha deciso di svolgere la 77ma edizione tagliando vistosamente la capienza, aggiungendo due arene all’aperto e delocalizzando una sezione molto amata dal pubblico (i film classici restaurati) al di fuori delle date di settembre, mentre ha tagliato il ‘Cinema in Giardino’ (fuori concorso) per garantire più repliche possibili alle altre sezioni in concorso.

 

La musica trova posto in arene, piazze e luoghi all’aperto: dal nord al sud del paese oltre 35 festival che abbracciano tutti i generi si svolgono spesso davanti a teatri chiusi in attesa dei tre mesi di programmazione indoor di uno dei big, RomaEuropa, che si conferma con un calendario ricco che abbraccia come di consueto anche altre discipline.

 

Il teatro internazionale in altri paesi assai colpiti dalla pandemia come la Francia - vedi il festival di Avignone - ha deciso di rinnovare il suo appuntamento in autunno mentre altri appuntamenti che presentano più discipline (come Voyage à Nantes) si svolgono nelle date consuete ideando il più possibile gli appuntamenti all’aperto. Il Fringe di Edimburgo è andato live online sostenendo come nessun altro festival la comunità degli artisti con donazioni e raccolte fondi. Altri festival italiani a carattere internazionale (come il Napoli Teatro Festival) hanno mantenuto il loro cartellone suddividendolo tra ospiti nazionali nei mesi in cui i viaggi erano più difficili (luglio) a settembre per quelli internazionali. 

 

La Fondazione Biennale di Venezia, dopo aver cancellato la Biennale Architettura che verrà riproposta nel 2021 (mentre la Biennale Arte si sposta al 2022), ha adottato una decisione senza precedenti: tutte i festival performativi (teatro, danza, musica) si spostano in autunno a partire dal 14 settembre uno dopo l’altro andando in scena appena dopo la chiusura della Mostra del Cinema senza pausa - il che testimonia anche una capacità produttiva senza precedenti nella storia più che centenaria dell’istituzione italiana più rappresentativa all'estero. 

 

La Biennale Teatro 2020 (14-25 settembre), ultima del quadriennio di direzione artistica firmata da Latella, si presenta con un cartellone tutto italiano (deciso prima del lockdown e prima dell’avvento della pandemia!) che apre coraggiosamente con un recital di poesia di Marianna Gualtieri (grande poetessa e performer italiana i cui versi hanno spopolato sui wall dei social durante i momenti più duri del lockdown). 

Il Leone d’Oro alla Carriera va a Franco Visioli uno dei più appassionati e noti sound designer italiani e quello d’Argento al collaboratore di Luca Ronconi e di altri registi: Alessio Maria Romano, regista e coreografo a sua volta e pedagogo. Entrambi premiati hanno dedicato questi ambiti riconoscimenti alla scuola (in molte regioni italiane l'inizio del festival coincide con il ritorno a scuola degli studenti) e alle 'ombre': a tutte le maestrnaze del teatro - dall'audio alle luci, ai tecnici, ai facchini - invisibili ma senza le quali nessuna arte sarebbe fruibile. 'Mi piacerebbe rendere d'oro e d'argento le professioni degli altri e per me insegnare vuol dire lasciare segni, creare, fare sì che l'ombra prenda luce' (Alessio M. Romano). 

 

Grande spazio alle nuove leve, con l’ultima edizione della scuola di teatro migliore del paese a firma Latella - Biennale College - che quest’anno premia registi under 30 e sceneggiatori under 40 mantenendo le masterclass come del resto anche le consorelle Danza e Musica. Tutte le compagnie invitate, 23, come ricorda Latella, si sono formate nel nuovo millennio. Italia dunque,  l’Italia delle nuove voci. Quest’anno il tema è la censura [il titolo/tema, i cui teaser online hanno le voci di tutti gli artisti invitati, è Nascondi(no)].


Latella, nel salutare il pubblico al suo ultimo discorso inagurale, ha dedicato una speranza al teatro italiano: 'liberi tutti, liberi da giochi politici e da salotto, perché trionfi la competenza'.
 

La Biennale Musica (25 settembre - 4 ottobre) si intitola Incontri ed è dedicata ai grandi maestri del passato recente e nelle produzioni del College riassume il cammino sin qui intrapreso dal compositore Ivan Fedele che la dirige: quattro composizioni prodotte dalla Biennale che spaziano tra classica contemporanea, video in tempo reale e musica elettronica. Leone d’Oro a Luis de Pablo (1930) e d’Argento a Raphaël Cendo (1975), fondatore del Saturazionismo. Più spettacoli giornalieri per un totale di 18 appuntamenti che presentano in scena 28 spettacoli: 15 in prima assoluta e 7 commissionati dalla Biennale, 13 in prima nazionale.

 

La Biennale Danza (13-25 Ottobre) propone un’edizione corposa del College (dedicata a danzatori non professionisti e professionisti e ai coreografi) e la direttrice Marie Chouinard porta a Venezia 23 titoli di cui 7 in prima assoluta e 5 in prima italiana, Leone d’Oro a Le Ribot e d’Argento a Claudia Castellucci già protagonista di performance e di masterclass nelle edizioni precedenti.

Seguiremo per voi la Biennale Teatro con day by day dai primi giorni di programmazione. 


I primi 3 giorni di festival


Una edizione del festival di teatro veneziano che è dedicata tutta a debutti (in alcuni casi di compagnie appena formate) squarcia un velo (talvolta di superficialità ed ipocrisia) sul valore della scena teatrale italiana, quella (per usare le parole di Latella) ‘off’ cioè la meno finanziata quando si esce dai perimetri (tutti politici) dei teatri stabili, che vuol dire in soldoni sostenuti da robusti fondi nazionali e regionali.

 

 I primi due giorni della ‘maratona’ festivaliera ‘al buio’ trattandosi di opere mai rappresentate - anche tutta digitale negli accessi e con misure di sicurezza degne per i tempi che viviamo - presenta le nuove creazioni dei Leoni d’Oro e d’Argento e un tris di interpreti ed autrici femminili: la grande voce della poetessa Mariangela Gualtieri e i due lavori premiati a Biennale College: Martina Badiluzzi (vincitrice bando Regia Under 30) e Caroline Baglioni (Sceneggiatura Under 40, diretta da Leonardo Lidi, già vincitore dei precedenti bandi di regia).

 

Gualtieri accoglie a piedi scalzi, un vestito che sembra un saio accompagnato da un piccolo libro legato alla cintola, il pubblico (l’abito è di Cristiana Curreli, Reedolab). 

Molti di essi sono alla loro ‘prima volta’ in un teatro (me compresa) dopo il lockdown. Il ‘secondo massimo’ veneziano, il Teatro Goldoni è pieno per metà per le severe regole di distanziamento e performare in un grande luogo in queste dimensioni è straniante non solo per il pubblico ma anche per chi sul palco resta e resiste in nome dell’arte, di una categoria e di un posto nel mondo. 

 

Il recital di poesie è sostenuto e sobrio, guerriero e pacificatore al tempo stesso. Scandito da un sound design (firmato da Andrea Zanella) semplicemente perfetto che mischia suoni concreti di cose della vita a cui spesso non badiamo più (un’auto che passa, o una barca nel caso di una città come Venezia) nei mesi scorsi era un barlume di senso, di normalità, di adesione a un mondo che ci è stato momentaneamente sospeso ‘a data da destinarsi’. 

Gualtieri riduce in questo recital una pioggia di emozioni battenti, in ogni direzione, ad un senso preciso: indagare le fattezze, la via e la profondità di una specie, quella umana, ad ogni latitudine. Mischiando poesia in italiano ed in romagnolo, indice di quanto la sua biografia (come quella di tutti gli altri artisti, espressa in maniera innovativa nel bel catalogo bilingue dell’edizione 2020 del festival) sia un dato creativo fondamentale nella sua arte iniziata peraltro a Venezia, quando si laurea in Architettura e incontra Ronconi con cui fonda il Teatro Valdoca.

 

La scelta di aprire un festival - tutto italiano e come detto tutto di debutti di compagnie ‘non assistite’ e non per questo minori - con un’artista senza ‘etichette’ come la Gualtieri ed il suo Rito Sonoro fa rima con i passati quattro anni di Latella che ha strenuamente cercato di spiegare che non esistono ‘generi’ a teatro e ‘nascondersi solo in un genere’ è anch’esso una (auto)censura. 

 

‘Da solitudini che si fanno comunità momentanea, abitare le nostre profondità umane derelitte, rinsecchite, denutrite e così poco visitate ora. Mettere al centro l’ascolto. Precipitare nella parte in noi più vecchia di noi, e infante sempre. Con quella, quando l’ascolto è ispirato, si ascolta.
Da quella parla la voce che davvero ci parla. Quando ci è dato – con quella si scrive.’ (Gualtieri, 2020).

 

 

The Making of Anastasia, il primo debutto ‘vincitore’ della Biennale College per la regia di Martina Badiluzzi, delude su tutta la linea: la lunghezza eccessiva, un grande impianto scenico poco agito e poco funzionale con vistose sfasature di disegno e produzione sonori, con costumi spesso ridondanti per la funzione double-face immaginata. E’ la storia di un ‘remake’ di un film del 1956 (premio Oscar la Bergman) dove il casting delle possibili ‘Anastasia Romanov’ si trasforma in una pantomima inceppata. La regista ha alle spalle premi e numerose acclamazioni, non da ultimo al RomaEuropa Festival: peccato, questo spettacolo non funziona. 

 

Funziona tanto, strappa applausi incredibili, Il Lampadario di Caroline Baglioni la sceneggiatrice vincitrice di uno dei pochissimi premi in Italia dedicato ai drammaturghi, per l’occasione diretta da Leonardo Lidi per decisione di Latella (la Baglioni ha una sua compagnia e porta in scena i suoi spettacoli): il giovane regista è stato il primo vincitore del primo bando per registi under 30 della sezione College. 

 

Scena scarna, quattro personaggi (uno di essi già in scena suona il piano in mutande bianche, l’altro è in tuta e pantofole e legge il Corriere dello Sport): tutto l’hype, per citarvi le parole di Lidi a fine debutto (emozionato come la Baglioni) è stato posto sul testo che è straordinario e che il catalogo della Biennale permette di leggere.

Spettrale e ancestrale insieme, la pièce si gioca su un’intuizione profonda e da grande ‘maestra’ delle parole: come sarebbe il mondo visto da una prospettiva scomoda - già tantrica e mortale - quale quella dell’appeso a testa in giù? 

 

Lo stimolo a questo immaginario è dato alla scrittrice da una tragedia italiana recente, il crollo del Ponte Morandi (Baglioni era a Genova quel giorno e lo aveva attraversato poco prima del crollo) ma l’esito è a tutto tondo e abbraccia le gesta piccole e grandi della ‘specie’, per citare la Gualtieri. 

L’esiziale carattere della storia ha la missione (riuscita alla perfezione) di cogliere quell’attimo tra pazzia e sanità, quella soglia, quel limite che ci consente di uscire da noi, forse per non farvi ritorno. O per ritornare a un ‘noi’ più che a un sé. La durata dello spettacolo è stata perfetta e funzionale a portare lo spettatore ad adorare le parole, farle sue e meditarle durante tutta la rappresentazione. Chapeau!

 

‘Siamo palazzi appesi al cielo, esattamente come la pioggia, esattamente’

 

‘Il mondo va letto all’ingiù per questo le nostre teste pesano’

 

‘Bisogna rialzarsi piano, abbiamo solo un corpo’

 

‘La telepatia è quando io non busso e tu apri la porta’

 

‘Sono capovolto, riesco a vederlo il mondo da qui, una piccola distrazione per sopravvivere’

 

Più ci si avvicina a un’essenza più le parole diventano difficili’

(C. Baglioni)

 

 

Guseppe Stellato, forse l’outsider per eccellenza del teatro italiano tanto caro a Latella, porta in scena il terzo capitolo di una trilogia dedicata alle macchine che ci circondano in ogni luogo che abitiamo o che attraversiamo e che di solito diamo per scontate. 

Dopo una lavatrice ed un distributore di snack alla stazione ferroviaria, stavolta in scena con Automated Teller Machine è un bancomat vendicativo che nasconde un’anima sensibile, che ‘tradisce’ il suo utilizzatore per un piccolo screzio, una diseducazione da niente: rivela tutti i suoi movimenti, non solo bancari ma personali - da test medici, ad acquisto di preservativi, a viaggi ed hotel, leggendo pedissequamente ogni transazione dei mesi precedenti fino a sputare inchiostro - il suo sangue, il suo veleno? - oltre a fiumi di carta e a rivelare uccisioni mirate di soldati americani in un Medio Oriente tanto alla ribalta in questi ultimi giorni di sanguinosa presidenza Trump con gli accordi di pace tra Israele e alcuni paesi arabi che di fatto uccidono la risoluzione Onu che prevede che Israele ritorni ai confini del 1967 perché, semplicemente, non ci sarà più nessun paese ad imporglielo. Per cosa? Per soldi, per passaggi di jet su suoli prima vietati, per tecnologie militari di nuovo commercio…

 

Curiosa la reazione del pubblico: nessuno ha fretta di andarsene, quieto osserva l’oggetto trasmutato e stanco dopo il suo vomitare inconsueto quanto rivelatore. 

 

Le altre compagnie in scena nei primi due giorni di festival senza rete (senza rappresentazioni precedenti ma anche libere, finalmente) sono Biancofango e Teatro dei Gordi. 

 

Biancofango porta in scena About Lolita una riscrittura densa, disturbante e nuova del noto romanzo di Nabakov in cui incesto e miserie della condizioni umane a confronto con l’amore ed il possesso si rendono in scena con un inconsueto set design: un campo da tennis (veramente ‘giocato’) e video sottomarini dove i protagonisti si ritrovano, singoli e separati nelle loro nudità (esibite solo sullo schermo e sulla garza che chiude molto bene lo spettacolo con una doppia proiezione che di fatto incastona, sigilla la scena arancione).

 

Il Teatro dei Gordi, giovanissima compagnia nata da colleghi di studio alla Paolo Grassi, strappa al momento il numero e la densità più cospicui di applausi: il loro Pandora racconta (squadernandolo con genialità assolute della scena e dei costumi, ma soprattutto dei tempi scenici: in meno di un’ora hanno rapito il pubblico in sala) una toilette pubblica da dentro a fuori. 

Non importa lo stato, la esatta localizzazione e naturalmente il sesso, la nazionalità o gli interessi degli utilizzatori (tutti sapientemente mixati): campeggia una scritta profetica (che potrebbe a maggior ragione di questi periodi riferirsi al mondo) ‘lasciala come l’hai trovata’.

 

Le storie - tutte interpretate dagli stessi sei attori che si cambiano con una rapidità incredibile - si susseguono con i tempi tipici dello sketch satirico: la comicità ‘nera’ è disarmante proprio perché i frequentatori della toilette portano qualsiasi tipo di situazione dal mondo ‘di fuori’: dalla malattia (fanno capolino, sembra, anche ex Covid positivi) alla solitudine, all’alcolismo, ai matrimoni freddi, alla sessualità repressa fino alla tossicodipendenza o agli estremi della vita vissuta sempre di fretta.

Vi chiederete: quanto è difficile far ridere toccando - ripeto, con una rapidità incredibile - tutti questi ‘mali di vivere’ elargiti con sapiente vojerismo? Secondo me ci riescono perché riescono a far attecchire uno spirito ormai desueto: la solidarietà imprevista ed improvvisa, quella che spesso neanche con un amico in difficoltà si riesce a mettere in pista.

 

Se vi capiterà di incontrarli nelle vostre città, qualsiasi sia lo spettacolo in scena se non Pandora, andate a vederli!

 

 

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