PICCOLI PEZZI poco complessi. Un omaggio a Michel Houellebecq e a Le particelle elementari

una recensione da Milano, di teatro

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PICCOLI PEZZI poco complessi. Un omaggio a Michel Houellebecq e a Le particelle elementari

una recensione da Milano, di teatro

Una prima nella prima. Fino al 13 febbraio 2011 il CRT Salone (Milano) ospita PICCOLI PEZZI poco complessi, una installazione/pièce di un gruppo di artisti riunitisi sotto il nome di InBalìa: Marco Cacciola, Michelangelo Dalisi e Francesco Villano, tra gli altri. Una compagnia teatrale e gruppo creativo che va dai 27 ai 37 anni conosciutosi calcando i palchi e i luoghi creativi a ridosso di più discipline a Milano, Roma, Napoli e Piacenza (sui palchi, soprattutto a corte da Arturo Cirillo). Nel 2010 decidono di costituire una “Compagnia Instabile”, insieme a Petra Trombini (tecnica) e Debora Meggiolaro (organizzazione).

PICCOLI PEZZI poco complessi è un omaggio (dichiarato) a Michel Houellebecq, in particolare al suo grandioso Le particelle elementari: in scena oltre i due fratelli Houellebecquiani Bruno (Villano) e Michele (Cacciola)– trasformati in potenti danzatori oltre che attori di parola e registi della pièce – domina la comica-drammatica Susan (Lucia Mascino, l’alter ego di Filippo Timi) che riassume in sé tutte le donne del libro e anche l’icona al ribasso di tutte le donne di oggi. Che si trascinano in una vita machista e in realtà sognano e bramano un figlio, avuto con estremo compiacimento facendo a meno di padre e compagno. Una straordinaria regia di video e luci sostiene tutto lo spettacolo (firmata dal napoletano Luigi Biondi): emula Warhol e il Pop degli anni ’70 utilizzando provini colore come fondale di proiezione (retroilluminata). Il ritmo scenografico strazia e comprime Le Particelle Elementari che ad ogni angolo di scena viene pungolato, stirato e rimasticato anche da una scrittura decisa, asciutta e citazionista a cura di Magdalena Barile.


PICCOLI PEZZI poco complessi
è una ritmica ossessione attorno e dentro i lenti, oscillanti, afoni e talvolta ingannevoli significati della creazione, intesa come atto primigenio, azione ex ante in grado di incarnarsi, nascere, gemmarsi in un’opera d’arte (ogni parte dell’installazione e della recitazione si aggrappa volutamente a riferimenti dell’arte visiva: Hirst, Barocco, Surrealismo, Pop Art). Covando all’infinito un uovo per difendersi dall’intorno, non cercando la sessualità liberata dalla figliolanza, ammantandosi di satirismo e di onanismo per nascondere un bisogno primordiale di accoppiarsi per riprodursi.
La creazione è rifare se stessi ad imperitura memoria: è il gesto creativo più compiuto e razionale che possa esistere per ogni artista, per ogni padre, per ogni donna.

InBalìa nasce proprio per questo, quando gli artigiani della scena e della parola (giovani registi e attori, costumisti, autori, scenografi e light designer) si liberano dai padri-monstre e cominciano a lavorare prendendosi la paternità e la maternità delle loro scritture. In questo caso, anche autofinanziandosi.
InBalìa ha un sogno nel cassetto: Il cieco di Dürrenmatt. Fintanto che si avvera, dopo la residenza al CRT Salone (alla prima strapieno), li rivedremo, sempre a Milano, al Teatro I ad aprile con una riscrittura di Amleto, dove la danza, l’arte e la scultura lasciano il posto ad una pièce di stampo più convenzionale. Sarà davvero così?