Intervista a Ole Bouman (Netherland Architecture Institute): Il NAI si fonde con Premsela e VP

Dova va l'architettura: Re-Set completa il cerchio del discorso iniziato nel 2008

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Intervista a Ole Bouman (Netherland Architecture Institute): Il NAI si fonde con Premsela e VP

Dova va l'architettura: Re-Set completa il cerchio del discorso iniziato nel 2008

Incontriamo Ole Bouman, il direttore del NAI (Netherland Architecture Institute) che è anche curatore dell’esibizione Inside/Outside di Petra Blaisse, una designer olandese che si occupa principalmente di tessuti, scelta per rappresentare l’Olanda alla Biennale di Architettura 2012 (il padiglione è ai Giardini). Il padiglione era quasi finito quando abbiamo incontrato Ole, sedendoci nell’ombra del bar ai Giardini, alle 11.30 di un sabato assolato (25 Agosto). Le tende che divideranno ed animeranno il padiglione non erano ancora state montate al momento dell’intervista, e Petra Blaisse, che era molto occupata con gli ultimi passaggi dell’allestimento, ci conferma che saranno in tempo con la vernice stampa, iniziata il 26 agosto, e che i materiali con cui sono realizzate le tende/room divider sono un mix di naturale ed artificiale, trevirecs cotone e leatherette (finta pelle). Ci conferma anche che è la terza volta questa in cui agisce come editore tessile, prima del padiglione Olandese ha realizzato un wallpaper per l’Ambasciata Olandese a Berlino e poi tappeti per il nuovo Stedelijk Museum (il nuovo edificio verrà inaugurato dalla Regina d’Olanda il 22 settembre ed aperto al pubblico il giorno successivo).



Diana Marrone: Dopo Vacant, ed anche dopo Archifeniks quando vi siete dedicati all’incredibile incendio che ha messo in discussione l’esistenza di uno dei principali atenei olandesi, il Politecnico di Delft, il NAI è stato uno dei pochi enti commissari delle partecipazioni nazionali alle Biennali di Architettura a condividere una visione performativa della disciplina. Possibilmente includendo anche intellettuali seminali di altre discipline e ovviamente magazine di settore (come Volume, Amsterdam, con cui peraltro ho ideato, finanziato e scritto Reconnecting Naples).
Facendo così, ha per caso (anche) inteso mettere in discussione la formula di eventi internazionali come la Biennale di modo da renderli più aperti ad un pubblico, definirei, più festivaliero e non solo di settore, come architetti ed urbanisti?
Oppure è, al contrario, il perimetro della professione ad essere cambiato tanto, al punto di richiedere un approccio come il suo? Se ci sono altre ragioni oltre o accanto a queste due per la sua scelta curatoriali (che ci sembra condivisa anche da altri padiglioni come quelli Nordici), ci racconti…

Ole Bouman: Non mi interessa discutere la formula di eventi come la Biennale. La mia missione nello scegliere questo tipo di formati dipende dal fatto che sono il modo migliore per porre domande relativamente allo stato corrente dell’architettura come disciplina, come medium culturale e come forma d’arte. Come ha già osservato, dal 2008 abbiamo sempre fatto queste domande con le mostre al Padiglione Olandese, ci siamo chiesti sempre quale fosse il destino dell’architettura. Quattro anni fa abbiamo con Faculties for Architecture (formalmente dedicato alla reazione ad un incendio che ha coinvolto l’edificio principale del Politecnico di Delft, un’icona che rappresenta in qualche modo la fede nel potere dell’architettura moderna) non  ho certo posto la domanda “come costruire un nuovo edificio o un altro edificio”: la domanda era che tipo di messaggio doveva essere portato dal nuovo edificio relativamente alla disciplina dell’architettura. Che tipo di esperienze, che tipo di educazione sarà importante nel futuro della disciplina? Quindi l’incendio ha rappresentato la ragione immediata, il fatto di cronaca per ri-tarare gli obiettivi, ri-raccontare gli scopi, ridefinire ambizioni. E credo, ancora oggi, che fossero tutte questioni cogenti. Non discuto, infine, le partecipazioni nazionali di altri paesi e credo che la Biennale sia un posto in cui tutti vengono a vedere cosa si espone. E’ per questo che noi riteniamo queste le domande prioritarie per capire il futuro dell’architettura.


Due anni dopo, con Vacant NL, tutto il nostro question time è stato ancora più chiaro; un altro grande dilemma per l’architettura contemporanea è il grande stock di edifici abbandonati o senza più scopo, non bruciati stavolta: semplicemente vuoti. Cosa fare con migliaia di costruzioni meravigliose, vuote nel nostro paese? Se nel 2008 abbiamo cercato di rispondere a cosa costruire dopo un disastro (dove il fuoco di Delft era una mera metafora discorsiva per introdurre ben altri disastri, come quello dell’architettura di fronte ad una crisi mondiale) abbiamo deciso di indagare un particolare aspetto della crisi, i vuoti, e cosa fare con vuoti esistenti, ad esempio pensare a nuovi scopi, nuove funzioni, nuovi programmi.
Con la mostra che il pubblico vedrà dal 29 agosto al 25 novembre chiudiamo un cerchio: quello che Blaisse propone è come usare un edificio vuoto. L’installazione non è e solo relativa alla descrizione di cosa fare in esso ma anche fare qualcosa con esso. E’ questo lo shift che abbiamo deciso di avanzare quindi abbiamo assegnato al nostro padiglione nazionale, un edificio di Rietveld, non il mero ruolo di comprimario, di sfondo, ma abbiamo aperto con esso un dialogo e abbiamo sincronizzato questo discorso con quello di due e quattro anni fa.


DM: Le cubature vuote ed i criteri per usarli, specialmente in momenti di recessione come questi: il tema che avete lanciato è stato così di successo nella comunità di architetti che poi sono sorti dibattiti simili in molti altri contesti, anche fuori i Giardini della Biennale (che per la verità tutto l’anno giacciono abbandonati!). Avete al NAI sperimentato, accanto a pubblicazioni e teoria, un modo diverso per interagire con i governi o altre terze parti per stimolare nuove leggi? Avete sempre la regolamentazione dello squat in Olanda? Avete censito cosa accade nel resto d’Europa? Cosa avete visto accadere al governo centrale e municipale dopo il padiglione olandese 2010? Ad esempio a Milano il nuovo sindaco sta cercando di smantellare il precedente piano regolatore considerato iniquo e sta introducendo una nuova e convincente legislazione che prevede fra l’altro che gli sviluppatori o proprietari che hanno edifici vuoti in alcune aree non possono provvedere a costruirne di nuovi se non curano la situazione dei vuoti prima.

 

OB: Sono cambiate le cose in Olanda, lo squatting ora è criminalizzato, dopo decenni in cui questa figure un po’ anarchiche avevano trovato spazio e comprensione, a tratti simpatia, in certi cerchi della nostra società. Dopo Vacant NL è sorto un movimento che è tenuto in considerazione specialmente dall’industria di riferimento (immobiliari, autorità pubbliche, architetti e ogni altro portatore di interesse): tutti si sono convocati cercando soluzioni. Quindi sono fiero del ruolo che il padiglione ha rivestito, creare una nuova agenda per questo stock di cubature. Tuttavia in Olanda non c’è ancora una legge come sta accadendo a Milano, almeno non ancora. Ma penso ci sarà presto dato che sia le municipalità che il governo centrale ci stanno lavorando e presumo potranno finire entro un anno da oggi.


DM: Anche il NAI è stato affetto dalla recessione come altre fondazioni e pubbliche istituzioni olandesi? Se sì in che maniera?


OB: Purtroppo sì, e anche tanto. Abbiamo avuto un taglio del 25% in un’unica soluzione ed inoltre il NAI è stato obbligato a fondersi con altre istituzioni quindi il prossimo anno ci sarà un nuovo istituto che includerà NAI, il Dutch Institute for Fashion and Design (Premsela) e VP, Institute for New Media. Questo nuovo corpo culturale, secondo il governo, sarà dedito alle industrie creative e credo sia in linea con quanto accade altrove. La dimensione economica dell’architettura diventa sempre più importante. Ma è vero anche che la dimensione culturale dell’architettura in questo merge può essere facilmente vanificata ed è molto importante tenere all’architettura come superficie, come settore industriale e come un’ambizione, guardare a questa disciplina come si fa con una visione sul futuro della società e come si guarda ad un gesto artistico di designer individuali. Sarà triste se l’architettura vivrà un’epoca in cui l’immaginazione costerà troppo e quindi non troverà più posto.


DM: Gli istituti con cui il NAI si fonderà sono ad Amsterdam, mentre voi siete a Rotterdam. Dove troverà sede il nuovo istituto?


OB: A Rotterdam.

DM: Uno degli stereotipi più diffusi sugli olandesi è la contrapposizione tra Amsterdam e Rotterdam, quindi in questo caso vince Rotterdam?


OB: Non ho mai capito questo “scontro”, per esempio io vivo ad Amsterdam e lavoro a Rotterdam e ogni giorno mi sposto, le città sono così vicine, distano solo 45 minuti di viaggio!


DM: Dopo la riorganizzazione governativa di cui mi ha parlato, è corretto pensare che Rotterdam è destinata all’amministrazione della cultura e Amsterdam alla fruizione (pensiamo ai musei e al turismo)?

OB: Non veramente…c’è davvero una grande competizione ed entrambe le città tendono a fare tutto in entrambi i campi. Non vedremo mai uno dei due sindaci dire all’altro: senti io faccio questo e tu quello così siamo complementari. Anche ad Amsterdam c’è un grande buzz sulle industrie creative e anche lì vogliono competere nel fare e vendere architettura. In un certo senso questa competizione è molto positiva, nell’altro non ha più senso in un mondo così globalizzato. Pensi agli stranieri che ci visitano e vogliono il meglio e devono cercarlo tanto. Inoltre, questa competizione serrata impiega tante energie e talvolta provoca grandi sprechi di tempo.

DM: Quali erano gli altri canditati o le altre idee per il Padiglione Olandese quest’anno? Sarebbe interessante scoprire anche le qualità dei progetti "refusèe"

OB: Normalmente non facciamo una competizione per scegliere chi rappresenta il paese alla Biennale. Certo abbiamo sempre un mucchio di idee e discutiamo tanto su ognuna di esse ma normalmente si tratta di una nomina diretta. Il governo ci dà questa facoltà, ci assegna questo ruolo e noi lo svolgiamo pienamente.

DM: Un’ultima domanda che faremo anche ad altri commissari. Conosce la situazione del padiglione Italiano, della nomina sempre last minute al nostro commissario? Quali sono i commenti nel mondo di riferimento (accade di solito anche con la Biennale d’arte)? Ha visitato il padiglione Italiano alla precedente edizione? Quali sono le sue opinioni?


OB: Conosco questa situazione e penso sia un po’ paradigmatica dell’intera Biennale poiché anche la nomina del curatore è sempre molto tardiva e anche dopo la nomina occorre sempre lavorare sul budget, quindi la mia idea è che questo tipo di mostre sono sempre dal sapore provvisorio. Ho sentito che anche due anni fa Molinari è stato nominato molto tardi. Ognuno di noi lo sa e date queste condizioni, ci sta che siamo tutti più generosi nel considerare il risultato…


DM: Quindi il fatto che le nostre non siano così brillanti deriva dalle nomine tardive…Che ne pensa del padiglione di Molinari nel 2010?


OB: Sembrava uno sforzo di raccontare una storia che però conteneva troppi capitoli, ma alla fine almeno lo sforzo di raccontarla c’è stato…Sono curioso di cosa presenterà Zevi quest’anno.


DM: Anche io visto che nel materiale stampa fino a due giorni fa non avevamo alcuna informazione e neanche il titolo del padiglione…L’unico padiglione senza titolo tra tutte le partecipazioni nazionali….

OB: Quale istituzione italiana si occupa del vostro padiglione?

DM: Il Ministero della Cultura, ha una speciale direzione che si occupa di arte, architettura e paesaggio. Tutto insieme! L’attuale ministro, nominato per il governo tecnico che ha succeduto per via non parlamentare a quello Berlusconi, è il rettore della Università Cattolica di Milano: non lo abbiamo mai sentito, anche su questioni più importanti e se possibile è il peggiore che abbiamo mai avuto. Certo, abbiamo ben peggiori problemi che nominare un curatore del padiglione a Venezia (o quello di Arte, ancora vacante), ma penso che Ornaghi faccia il conto dei giorni che lo separano dalla fine del governo tecnico, restando nella più placida inazione.