Sempre Swinging London?

Le grandi mostre d'arte dell'oggi da Frieze fino a gennaio, tra crisi e Brexit

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05-10-2017
categorie: Design, Arte, Corporate, Non profit, Window Shopping,

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Sempre Swinging London?

Le grandi mostre d'arte dell'oggi da Frieze fino a gennaio, tra crisi e Brexit

Certo, le gru in cielo, camminando in una giornata di sole lungo il Tamigi, spuntano qui e lì ottime e abbondanti ma per parlare di come è collassato un capitolo importante dell’economia londinese, il real estate, si dovrebbe chiedere a chi ha investito a Stratford per le Olimpiadi e lì è il deserto dei Tartari, molti lotti sono vuoti. Si potrebbe chiedere anche a The Vynil Factory, di cui vi parleremo estensivamente tra poco. 

Questa Londra è ancora la swinging che conoscevamo e che eravamo abituati ad invidiare?

 

 

Con la art week trascinata da Frieze (la fiera nei suoi due capitoli - contemporaneo e Masters - chiude l’8 ma gli eventi sono iniziati il 2 ottobre in ogni angolo di città e proseguono ben oltre) probabilmente l’idea che Londra rilancia di se’ è sempre vibrante e positiva. E’ la stessa impressione che si ha durante la Design Week appena trascorsa, in una parola per l’autunno creativo che continua a essere facilitato dalle istituzioni. 

Tuttavia, se cercate bene, non funziona. Cominciano a intravedersi le crepe. 

 

Prendiamo ad esempio una delle installazioni più celebrate dai cittadini (le altalene per tre persone alla Turbine Hall della Tate Modern; si tratta di una delle Hyundai Commission stavolta firmate dai danesi Superflex: One Two Three, Swing, aperta il 3 ottobre, chiude il 2 aprile). 

Un grande pendolo invita a sdraiarsi su una moquette (già sporca, mostra visitata il 5 ottobre) per farsi ‘ipnotizzare’ dal movimento suadente, lo stesso del baricentro terrestre. Per poi condividere una delle tante altalene che possono essere usate da tre persone alla volta e che, secondo gli artisti sono una metafora: se si andasse all’unisono in una direzione si potrebbe cambiare l’orientamento del pianeta. 

Affollata sia di babysitter e dei loro bambini che dai friezers, questi lavori d’arte offrivano un patente esempio di come Londra sia di tutto e di tutti. 

Tuttavia, se si andava al fondo dell’esibizione (a nostro avviso, la sala più decisiva della mostra!) per scrivere il proprio pensiero a riguardo di dove le altalene ‘dovessero rispuntare’ come richiesto dagli artisti, si arriva in una sala vuota, non presidiata, senza le puntine da disegno e gli stickers richiesti per completare l’esperienza e una massa di fogli lasciati a se’ stessi.

 

Fortunatamente, altre istituzioni lavorano con scale più piccole e con più effetto, sebbene anche esse con commissioni originali. 

Il Barbican Centre, ancora una volta, si riconferma la destinazione di spicco per visitare mostre di qualità anche oltre la fine di Frieze. Fino al 7 gennaio 2018 (la mostra chiude solo nei giorni di Natale ed è ad ingresso gratuito), Il vincitore di ars mundi 2017, l’artista e filmmaker inglese John Akomprah racconta un altro capitolo (il secondo di cinque) dedicato al nostro rapporto suicida con la natura ed il pianeta, iniziando proprio con il rapporto ONU sui gas serra. 

Lo fa, stavolta, con Purple, una installazione a sei canali con una ‘storia’ (a tratti molto narrativa, cosa inusuale per lui che di solito si affida a traiettorie filmiche non lineari). Si dipana partendo da lontano e fino ai giorni nostri alternando immagini di repertorio e immagini nuove che ha girato nei luoghi più disparati in modo sia assai convenzionale che non. 

Le proiezioni - che immaginiamo da ora in avanti molto affollate, data la bellezza del lavoro - sono divise in cinque capitoli più uno ciascuno con un titolo molto evocativo: durano circa 60 minuti in tutto e sono precedute da due installazioni e da dittici o trittici fotografici insolitamente fashion per lo stile dell’artista che ci ha abituati a lavori straordinariamente profondi come quello (Vertigo Sea), visto alla scorsa Biennale Arte e realizzato esclusivamente in collaborazione con la BBC ed il suo sterminato archivio. 

 

Akomprah (un altro artista che lavora con Lisson, che compie 50 anni di attività e quest’anno, come leggerete fra poco, ha fatto le cose in grande) è stato anche nominato artista dell’anno dallo sponsor principale di Frieze, la Deutsche Bank che è presente in fiera con due lounge dedicate a conversazioni (e a lunch parties). 

L’artista ha esposto dei trittici di diversa tipologia, raffiguranti persone e situazioni in situazioni diverse in termini temporali, sociali e culturali. 

 

Prima di lasciare il Barbican, visitate la mostra Boom For Real, dedicata a Basquiat ed all’allure di quel periodo creativo newyorkes e scoprirete che la maggior parte dei top 5 dealers (in fiera e fuori) continua a intermediare e vendere quelle estate (per chi è morto) o gli artisti ancora viventi della fine degli ‘80ies nati attorno a questa celebre meteora dell’arte, del cinema e della musica (in mostra un vinile della sua Tartow Records). Le sale non a pagamento della mostra (quelle a pianterreno) svelano anche il Basquiat che noi amiamo di più, il poeta (e i suoi celebri Notebook) sono in vendita nel bookshop della galleria. ‘I don’t know how to describe my work. It is like asking miles, how does your horn sounds’ (J.M. Basquiat).

 

In fiera sono molte le gallerie che  rincorrono i pochi artisti esposti quest’anno alla biennale di Venezia di cui vale la pena interessarsi, tra di essi spicca la belga Dekint (tra le protagoniste anche di una conversazione nel programma dei talk a Regent’s Park) presente in due gallerie di primaria importanza (le opere migliori viste da Carl Freedman, anche tra le gallerie migliori visitate nel late opening serale dell’East End organizzato dalla fiera). Un deciso trend, in questo periodo di grandi crisi, è l’opera testuale (già vista anche a Art Basel) presente in modo diverso negli stand di dealer di esperienze e città differenti. Oltre ad edizioni con diversi supporti (manifesti, marmo, bronzo) di Jenny Holzer ci sono gallerie coraggiose, come Spruth&Magers che alterna nomi più altisonanti ad altri: spicca Kaari Upson con graphic art che usa ancora matita su carta. 

 

Dicevamo del compleanno della Lisson: lo festeggia alla grande affittando gli spazi al 180 Store (nello Strand, al civico 180) di The Vynil Factory (aperta il 5 ottobre, fino al 10 dicembre) con Everything at Once una esibizione gigantesca (affiancata da molte serate e party, almeno nella settimana che si conclude domenica) di tutti gli artisti (o quasi) che hanno fatto una mostra personale in galleria (quelli che non ci sono, sono raccolti in un volume in edizione limitata). Il titolo viene da una frase di John Cage (coevo della nascita della galleria) che parla di come siamo tutti ormai ‘interconnessi’: 50 anni fa Cage aveva già ‘letto’ tutto e previsto ogni cosa. 

Alla mostra della Lisson ci sono tre ‘add on’ che invece vengono da The Vynil Factory, che li ha curati e prodotti. 

 

Una parentesi su 180 Store: lo spazio è immenso, sono ex uffici e grandi magazzini mangiati dalla crisi, presi per poco o nulla da The Vynil Factory che ha anche uno spazio per mostre a Soho; sono messi a nudo ed usati senza alcun rivestimento o ristrutturazione. Il real estate che ancora sta a galla a Londra pare lavori bene con Fashion Weeks, le Art e le Design Weeks (come 180 The Store, ormai una destinazione sempre usata durante le varie fiere).

 

Dicevamo dei tre lavori di The Vynil Shop: una installazione luminosa e sonora di Ryoji Ikeda; un documentario di Jeremy Shaw (Liminals) e una straordinaria opera di Arthur Jafa (con colonna sonora di Kanye West) nel sottotetto dello sterminato spazio (non perdetelo e siate pazienti, ci sarà fila per entrare perché lo spazio è tra i più piccoli della sterminata location). 

Love is the Message, the Message is Death vi terrà inchiodati a terra per la straordinaria drammaticità (ed insieme dolcezza) delle immagini montate dall’artista che si interrogano sul limite umano (e politico) della violenza razziale e l’immagine di essa (e più in generale sull’identità afro-americana) sui media. Jafa (che è un artista che lavora con Gavin Brown Enterprise) ha appena finito una straordinaria mostra alla Serpentine conclusasi con una jam session promossa proprio da The Vynil Factory.

 

Se non l’avete ancora vista, la grande mostra di Thomas Ruff alla Whitechapel Gallery è una sterminata ‘digressione’ sulla storia della fotografia e non solo tutta (ma proprio tutta) la produzione del famoso artista (fino al 21 gennaio 2018). Con un arco temporale che va dagli anni 70 ad oggi, ha il merito di essere una mostra per tutti, per chi è addentro al media e per chi non lo è e magari non conosce - in tutto od in parte - le sperimentazioni uniche del fotografo tedesco. Una sala, su tutte, è straordinaria: mette insieme le famose serie dei Negativi e quella dei ‘fotogrammi’, una tecnica assai usata da Man Ray (scattare senza pellicola, esponendo gli oggetti letteralmente sulla carta direttamente) che Ruff ha trasformato in chiave ‘digitale’.

 

A poca distanza - a piedi - dalla Whitechapel, due altre fiere ed una mostra sono alla Old Truman Brewery dove la domenica c’è anche il Sunday Upmarket…

 

The Other è la fiera di Saatchi che mette in mostra gli artisti (letteralmente, con un cartellino appeso al collo mentre raccontano dei loro lavori ai loro stand: come scimmie in una gabbia) senza intermediazione di una galleria ma con un comitato curatoriale che li ha selezionati. Tra moltissime proposte disarmanti (in quanto a qualità ed interesse), abbiamo notato ottima fotografia, in almeno due casi (Alan Powdrill, James Tarry).

 

The Moniker è (se dobbiamo cercare una semplificazione) la fiera dedicata alla street-art, alla grafica e al mixed media più spinto inclusi giochi da tavolo, font e molto altro. A due portoni da The Other è forse quella che riserva più sorprese a cominciare dall’androne e dalla grande installazione che vi accoglie e vi spiega perché la fiera ha quel nome e che senso ha essere ‘viandanti’ nell’arte oggi. 

 

Ci sono diverse commissioni e ‘solo exhibit’ o live acts curati dalla fiera. Gli stand delle gallerie sono molto piccoli e nonostante ciò può succedere di perdersi perché le opere sono di formati e tecniche diversissimi e spesso anche molto ridotte in termini di centimetri. 

A noi è piaciuto molto un lavoro intenso, drammatico - lo splatter decisamente manierista - di un artista molto giovane, FourFingers, che è esposto da Curious Duke Gallery (la galleria ha iniziato come un pop-up store ideato e finanziato quattro anni fa da una giovanissima londoner, ex textile designer, ora 27nne Eleni Duke). 

Si tratta di piccole cornici che racchiudono una superficie resinata. Dentro, le ossa di piccoli roditori rivestite da foglie d’oro. L’artista li trova nei pallet di legno, mangiati e sputati da uccelli ed altri predatori. Li pulisce, li ricostruisce e li incapsula in foglie d’oro e resina. L’effetto è straordinario. Il prezzo anche, molto sostenibile.

 

In entrambe le fiere ed in altre gallerie è possibile aderire al programma My Own Art per ogni acquisto: finanziato dalla National Lottery e dall’Arts Council permette agli acquirenti di pagare a rate il lavoro prescelto, in 10 mesi. 

 

Un piano sotto a The Moniker, una mostra di fotografia ed oggetti (e molto altro, diremmo un meeting point) organizzata insieme all’UNHRC, l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite per i rifugiati. I Can only Tell you what my Eyes See di Giles Duley. La mostra (fino al 15 ottobre) è uno straordinario spazio di conoscenza e di condivisione: un lunghissimo tavolo adornato da spezie e candele fa da contraltare ad un viaggio per immagini che il fotografo ha fatto in oltre 15 paesi per ritrarre volti e storie di migrazioni forzate. Il libro (in diverse edizioni, a partire da 15 pound) è una storia per testi ed immagini che documenta una straordinaria ricerca antropologica prima che fotografica. La mostra si trasforma in un ‘supper club’ ogni sera (il tavolo è anche un supporto vero) ed ospita artisti e scrittori in residenza. Con una colonna sonora speciale creata da Robert del Naja (Massive Attack) ed una sezione speciale di dipinti di giovanissimi siriani scampati alla morte e che grazie all’arte hanno iniziato un periodo di recupero assistiti da psicologi. Il ricavato delle vendite (la mostra è ad ingresso gratuito) viene donato ad una fondazione di supporto alle vittime delle violenze in Medio Oriente.

 

Se siete alla ricerca dell’interazione e di un’altra motivazione benefica, o semplicemente di arte partecipativa - o se volete vedere chi crea donando, acquistando, promuovendo - c’è un altro luogo da visitare e dove andare (fino al 22 ottobre). 

Si tratta di un pop-up charity store inventato e disegnato (come una scenografia dei suoi film) da Miranda July (la famosa artista, regista e scrittrice americana protagonista anche di video creati da lei stessa per Miu Miu alla Mostra del Cinema di Venezia). 

Prodotto da Artangel e situato al terzo piano di Selfridges (il grande magazzino che più inglese non si potrebbe) l’opera d’arte ha l’aspetto di un charity shop e funziona esattamente come funzionerebbe un charity. Di più, è realizzato in collaborazione con tre charity di diverse religioni (buddista, islamica, cristiana, ebraica). 

Si fanno, by the way, affari d’oro: nell’ambito di Frieze, l’artista ha presentato (mentre copiosamente firmava copie dei suoi ultimi romanzi) non solo le ragioni che l’hanno spinta a crearlo ma anche - con una grande ironia - di come Selfridges fosse l’ultima spiaggia (in residenza con Artangel aveva anche altri progetti che non hanno trovato gli adeguati compagni di strada). 

Il negozio è minuscolo e pieno di cose per tutti (donne, uomini e bambini): potete trovare occhiali Fendi a due pound, party dress a 7, o oggetti di design a meno di 20 pound (noi siamo stati baciati dalla fortuna e abbiamo comprato l’intera serie Bronze del noto designer inglese Tom Dixon per….40 pound: sarebbe costata oltre 400 pound). 

L’artista ha ‘dissacrato’ una delle istituzioni inglesi, i charity shop, forgiandola a tematiche strettamente socio-politiche insistendo sullo ‘scarto’ valorizzato: dal consumismo alla creazione di valore sociale. Esperimento ottimamente riuscito. Oltre a donare i vostri abiti o piccole e grandi somme alle charity coinvolte, è straordinario passare qualche minuto in quel luogo che profuma di buono, contrariamente a quello che annuserete nei very charity.

La shopping bag è di un giallo meno giallo di quello di Selfridges ed il logo dei cartellini dei prezzi ricorda quello delle NU, stesso blu.

Ancora una volta, la divorante ironia di July coglie perfettamente nel segno.

 

Mentre scriviamo, ascoltiamo la radio inglese di tendenza (protagonista di alcuni party durante Frieze insieme a noti brand). Si chiama NTS ed è solo online, a quanto pare a detta di chi se ne intende è la coolest one (questa sì, fa molto swinging London). Prima di partire per Londra tenete d’occhio i suoi party listing, potrebbero riservare notevoli sorprese.

 

@friezeartfair