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Home from Home - JAMESPLUMB da Rossana Orlandi
data: 01-10-2010
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JAMESPLUMB
La stampa del mondo ne parla. Le mostre al 95% sold outdata: 02-04-2010
L'ABC della canapa: nuova campagna stampa per Canapa Sativa Italia (CSI)
Cronaca, legale, economia, design ed economia circolare
Canapa Sativa Italia (C.S.I.) è l’associazione nazionale che unisce tutti gli operatori del settore della canapa: dal mondo agricolo alla trasformazione, fino alla ricerca e distribuzione su tutto il territorio nazionale.
Nata sui social già dal 2014 grazie all’unione di numerosi operatori di tutti i comparti della filiera, è stata ufficializzata in associazione quattro anni dopo, il 15 luglio 2018, diventando una realtà completamente rappresentativa del settore: dai coltivatori ai commercianti, dai trasformatori al comparto analitico fino ai tecnici legali e ai professionisti delle attività collegate.
Oggi Canapa Sativa Italia conta un numero sempre crescente di realtà che si impegnano nella cooperazione e nello sviluppo della canapa italiana.
Alla data del 30 settembre 2025 sono associate 380 aziende suddivise in 175 aziende agricole, 185 aziende commerciali, 5 società di ricerca e 15 società di trasformazione.
L’associazione rappresenta le nuove filiere e, attraverso il dialogo costante tra tutti gli operatori, garantisce una costante e tempestiva condivisione delle informazioni più rilevanti per il comparto della canapa in Italia.
Il Consiglio Direttivo si riunisce settimanalmente e organizza conference call aperte anche agli associati, i soci si confrontano in gruppi dedicati e hanno uno spazio di counseling per fare fronte agli eventuali arbitrii legali e delle forze dell’ordine. A disposizione dei soci varie convenzioni tra cui un’assicurazione legale, assistenza legale di avvocati esperti in materia, convenzioni e sconti per vari servizi tra cui laboratori di analisi, spedizioni e la partecipazione a tariffa agevolata alle fiere di settore. Si organizzano inoltre webinar informativi per tutti gli operatori del settore e vademecum di buone pratiche da utilizzare in campo e in negozio.
La più seguita associazione di imprenditori della canapa partecipa alle maggiori fiere di settore italiane e si coordina costantemente con le altre associazioni di settore europee con cui ha frequenti scambi per lo sviluppo e la difesa del comparto, in particolar modo in relazione a valorizzazione dell’artigianalità territoriale e professionale oltre che l’esercizio del diritto di accertamento della violazione dei diritti fino alle richieste di risarcimento a seguito di danni economici per norme che violano la legislazione nazionale ed europea in materia.
La canapa industriale è legale in Italia, oggi?
Sì. Lo dice la Legge 242/2016: si può coltivare Cannabis sativa L. da varietà iscritte al catalogo UE e usarla per fini industriali, ornamentali/florovivaistici, tessili e alimentari secondo le regole europee. In campo vale la soglia dello 0,6% (percentuale massima di THC/tetraidrocannabinolo, ammessa).
Sì, la canapa è legale. Nonostante l’Art.18 D.L. 48/2025, convertito in Legge 9 giugno 2025, n. 80 (c.d. decreto sicurezza) rimandi le infiorescenze alla Legge 309/90, la stessa normativa penale afferma che non può esserci un reato in mancanza di offensività in concreto. Sui prodotti finiti si guardano le norme di settore e, se qualcuno prova a immettere dei divieti assoluti su infiorescenze, foglie e derivati, la bussola resta quella dell’offensività in concreto: un bene è “drogante” solo quando può produrre un effetto stupefacente alterando lo stato psico-fisico in concreto, cosa che la canapa e i derivati che vende il settore non sono in grado di fare. Non essendo stupefacenti, i derivati che vendono gli operatori del settore, sono a norma anche della legge 309/90.
Quello che stiamo facendo nei tribunali è semplice: far mettere questo in chiaro, nero su bianco, così che fini leciti e assenza di effetto drogante non siano più materia di interpretazioni “creativamente proibizioniste”.
E la decisione di Trento? Abbiamo vinto o perso?
A Trento la richiesta di sospensione cautelare dell’Art. 18 non è stata accettata, perché i giudici hanno confermato la nostra interpretazione e cioè che non è cambiato nulla rispetto a prima del decreto sicurezza. Nelle motivazioni il giudice scrive infatti esattamente la nostra formula: contano le destinazioni lecite della 242/2016 e soprattutto l’assenza di effetto drogante in concreto. Questa recente pronuncia di Trento è un assist prezioso che traghetta questo linguaggio nel merito fissato a dicembre 2025. Il punto ora è farla diventare sentenza sostanziale e replicabile, così i controlli smettono di appoggiarsi a letture fantasiose e troppo ampie dell’articolo 18.
Cannabidiolo
È uno dei 142 fitocannabinoidi identificati nelle piante di Cannabis Sativa L. Si trova in tutta la pianta. La Cannabis Sativa L.- definita tecnicamente Canapa Industriale e, con una sintesi giornalistica impropria, cannabis light - è legale in Italia grazie alla legge 242/16 e grazie alla sua intrinseca mancanza di capacità drogante.
Il CBD nello specifico non ha efficacia drogante e non crea dipendenza come provato da innumerevoli studi su umani ed animali. Si trova anche in altre specie botaniche, per esempio nelle foglie del luppolo.
Il Cannabidiolo è approvato dalle agenzie del farmaco nei trattamenti anticonvulsivi ed antiepilettici e come coadiuvante nel trattamento della sclerosi multipla.
Sotto forma di integratore alimentare, è un potente miorilassante e comporta notevoli benefici a basso costo per stati d’ansia, insonnia, dolore cronico, malattie neurodegenerative o come coadiuvante durante la disintossicazione da oppiacei e da altre dipendenze croniche.
Che il CBD non abbia la stessa psicoattività del THC, il principale agente psicotropo della cannabis, è stato recepito anche dalle istituzioni legislative internazionali, oltre che stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il 19/11/2020, con la sentenza 141, la Corte di Giustizia Europea afferma infatti che il CBD estratto dalla pianta di cannabis non deve essere considerato una droga ai sensi della Convenzione Unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961. La stessa Convenzione Unica è stata revisionata dall’ONU il 2/12/2020 in base alle raccomandazioni dell’OMS, decretando una svolta storica sull’uso terapeutico riconosciuto alla pianta.
Fino al 4 febbraio il CBD era autorizzato tra gli ingredienti cosmetici solo in forma sintetica, ma il 4 febbraio 2021, la Direzione Generale del mercato interno, dell’industria, dell’imprenditorialità e delle PMI (DG Grow) della Commissione Europea (CE) ha modificato questo orientamento e aggiunto il cannabidiolo (CBD) estratto dalla pianta all’interno del catalogo CosIng per la cosmesi.
La progressiva e parziale liberalizzazione della Cannabis, agli inizi del XXI secolo, ha consentito l'avvio di molte ricerche sui possibili utilizzi umani del CBD: a partire dal 2017, quando l'OMS dichiarò che il CBD non era tra le sostanze controllate, la ricerca clinica sul CBD ha iniziato a contare su sempre più studi relativi ad ansia, cognizione, disturbi del movimento e dolore, cancro.
La cannabis sativa a basso contenuto di THC, legale in Italia grazie alla legge 242/16 e alla sua incapacità di produrre effetti stupefacenti, oltre a dover appartenere al registro di varietà certificate autorizzate a essere coltivate in Europa, deve contenere secondo la legge italiana un limite di THC pari a massimo 0.6 mg.
La coltura della canapa industriale, al pari di altre piante le cui varietà sono iscritte nei registri agricoli delle varie nazioni europee, è destinataria dei fondi agricoli ‘PAC’ (Politica Agricola Comune) sia se coltivata in pieno campo sia se coltivata indoor.
Il CBD quindi è una droga? Cosa cambia con i decreti del Ministero della Salute del 2024?
No, il CBD non è una droga. I decreti 2024 hanno tentato di tabellare e quindi classificare come farmaci stupefacenti le composizioni orali contenenti CBD estratto dalla pianta, non “il CBD in sé”. Questi decreti hanno provato a scavalcare sia la normativa europea sui cosmetici (dove il CBD estratto dalla pianta, come dicevamo, è già nel CosIng) e il percorso novel food per l’alimentare.
La prima versione di questo decreto è stata sospesa in cautelare, poi il Ministero ha riscritto il testo attingendo a dei pareri ISS/CSS e in primo grado un TAR ha rigettato la nostra impugnazione, ma senza rispondere davvero alle controdeduzioni scientifiche e senza CTU, piegandosi a un principio di precauzione esasperato.
Siamo quindi andati in appello al Consiglio di Stato con perizie regolatorie e tossicologiche, tra cui il lavoro con l’azienda ChemSafe (Ente di tossicologia regolatoria ) e i contributi tecnici degli esperti Prof. Falasca e Prof. Ciallella: le evidenze dicono che il CBD, come tale, non ha efficacia drogante né induce dipendenza e che un divieto-ombrello sulle forme orali, senza parametri proporzionati, collide con il diritto UE e con la realtà d’uso.
Nel frattempo, ribadiamo una cosa operativa: il decreto non trasforma magicamente in “stupefacente” ogni prodotto a base di CBD; colpisce una forma di somministrazione. Eppure, c’è chi continua a sequestrare confondendo composizione e sostanza: poi arrivano dissequestri e archiviazioni, ma intanto aziende e contribuenti pagano il conto.
1) Perché non è un medicinale da tabella B? https://drive.google.com/file/d/1nW10AJuVOUFuUsBpfMgkhdrtdsZ4TL7h/view?usp=sharing
Tavolo Ministeriale di Filiera della Canapa
(ex MIPAAF ora MASAF, Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare)
Con grande impegno l’Ass. Canapa Sativa Italia è riuscita a essere rappresentante istituzionale del settore, ottenendo un posto al tavolo ministeriale di filiera presso l’allora MIPAAF, indetto dalla Ministra Bellanova.
Il tavolo vede la composizione nel 2020 e primo insediamento nel 2021. Avrebbe dovuto concludere i lavori e pubblicare un piano di settore entro il 2024, ma ad oggi è interrotto dal cambio di governo e purtroppo senza ancora avere presentato il Piano di Settore su cui i lavori, seppure a grande fatica, si erano svolti e completati. Da allora la riunione e richiesta di discussione della materia al tavolo tecnico è diventata una richiesta comune non solo tra le associazioni di settore che ne hanno fatto parte ma anche delle grandi organizzazioni di categoria come Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Copagri, CNA e molte altre che hanno continuamente richiesto la sua riunione. Anche il CREA e le università coinvolte e partecipi ai lavori hanno prodotto tanti elementi utili allo sviluppo di questa filiera, contributi di conseguenza frustrati dall’assenza di riunioni e di posizioni.
A tutt’oggi non sono stati nominati dei responsabili ufficiali nonostante la nostra associazione continui a collaborare attivamente ogni volta che viene convocata con il Masaf. Ma il Piano, se c’è, giace sulla scrivania in attesa di un via libera. Il lavoro fatto presso le istituzioni potrebbe infatti portare a un chiarimento sulla reale portata del nuovo art. 18 per richiamare a legge la sentenza delle SSUU di cassazione che non vieta di commercializzare i derivati della canapa quando privi di efficacia drogante secondo il principio di offensività.
Si attendono chiarimenti che possano portare chiarezza su questo fronte, è probabile che alla fine bisognerà ammettere si sia male interpretato l’art 18 oltre coinvolgendo le procure con l’allarmismo. Attendiamo dal governo un'interpretazione autentica che spieghi realmente la portata dell’art 18 e che effettivamente si possa riaprire tutto il dialogo avendo superato e chiarito questo punto sul fatto che il governo non legalizzerà mai alcuna droga e qualsiasi prodotto fosse astrattamente ricavabile dalla canapa con effetti droganti deve considerarsi da oggi e per il futuro vietato, ma al contempo si riconosca la non punibilità della commercializzazione della canapa non drogante. A quel punto si riaprirà l’esigenza, speriamo, di completare e integrare i lavori del tavolo dando un nuovo futuro a questo settore.
La canapa industriale a basso contenuto di THC è legale ma negli ultimi anni quattro decreti ne hanno cercato di vietare la coltivazione, l’utilizzo, l’esportazione: la mappa delle azioni legali e dei ricorsi vinti da CSI
Il Cannabidiolo e la canapa industriale a basso contenuto di THC, per ragioni probabilmente economiche camuffate da precauzione per salute pubblica, sono stati spesso nel mirino in questi ultimi 5 anni: i soci di CSI hanno quindi finanziato quattro azioni legali nazionali ed internazionali e numerose campagne di comunicazione politica e stampa a causa delle violazioni multiple di leggi e hanno registrato numerosi successi.
Il governo italiano ripresenta spesso legislazioni o decretazioni configgenti con norme di comparto e con capisaldi del diritto comunitario, provocando ingiustificate pesanti mortificazioni alla libertà di impresa.
L’impegno finanziario a cui sono obbligati i soci di Canapa Sativa Italia e tutte le aziende del comparto per fare fronte a tutti questi provvedimenti da contestare - che producono immotivati sequestri in campo e in magazzino - è notevole. Ogni provvedimento comporta anni di incertezza, la commissione di nuovi studi, l’audizione di pareri di esperti e numerosi gradi (senza considerare i ricorsi opposti dai soccombenti) per una spesa - difficile da quantificare - che va dai 5000 soltanto per il deposito del ricorso fino ai 100.000 euro. Un ingiustificato costo di impresa che ricade su giovani imprenditori del settore, già provati dalla difficile congiuntura economica causata proprio dal clima incerto e dalla continua decretazione, spesso d’urgenza, su materie già normate da una legge nazionale. Uno spreco di risorse pubbliche che ricade anche sulla collettività.
2020, Decreto ‘Speranza’, sospeso, poi approvato da Schillaci dopo
L’ex Ministro della Salute, on. Speranza (Articolo 1, ex PD), con il noto ‘Decreto Speranza’ emanato in piena pandemia (2020) tenta di “regalare” il CBD in esclusiva al settore farmaceutico, ma in seguito a vibranti proteste il decreto fu sospeso. Non fu mai annullato e successivamente come vedremo sotto è stato riportato in vigore.
2021, “Decreto Patuanelli” (Officinali): cosa prevedeva, perché l’abbiamo fermato, dove siamo ora
La storia parte nel giugno 2021, quando l’allora Ministro dell’Agricoltura Stefano Patuanelli trasmette alla Conferenza Unificata lo schema del decreto sulle piante officinali previsto dal D.Lgs. 75/2018. Nella versione poi divenuta DM 21 gennaio 2022, è stata inserita all’ultimo una forzatura che accende la miccia: la canapa industriale viene di fatto ricondotta alle sole produzioni da seme, mentre foglie e infiorescenze vengono “parcheggiate” nel Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90), con la conseguenza pratica di vietarne coltivazione e prima trasformazione salvo autorizzazione farmaceutica. Tradotto: un settore agricolo regolare, riconosciuto dalla L. 242/2016, si ritrova improvvisamente con un blocco operativo su parti di pianta che, se prive di effetto drogante, non avrebbero nulla a che vedere con gli stupefacenti. CSI, insieme a un fronte largo di associazioni, impugna subito il decreto: non è solo un problema di metodo, è un tema di sproporzione e di contrasto con la 242/2016. Non si può cancellare con un atto amministrativo ciò che la legge riconosce come usi industriali; e soprattutto non si può far dipendere la liceità da quale parte di pianta sia considerata, ma va appunto stabilita l’offensività in concreto (la presenza o meno di un effetto drogante).
Nel febbraio 2023 arriva la svolta: il TAR Lazio (Sez. V), con le sentenze n. 2613/2023 e n. 2616/2023, accoglie i ricorsi e annulla le porzioni del DM che chiudevano la porta su foglie e infiorescenze. I giudici amministrativi dicono con chiarezza ciò che ripetiamo da anni: non si bandisce una parte di pianta in quanto tale, si valuta l’eventuale effetto stupefacente concreto. Punto.
I Ministeri non si fermano e vanno in appello. Siamo così arrivati all’udienza pubblica del 2 ottobre 2025 in Consiglio di Stato, dove abbiamo depositato memorie e dossier tecnici: l’udienza è andata bene e attendiamo la sentenza, con ottime prospettive di conferma.
Perché questo passaggio è così importante? Perché questo è un caso simbolo che può chiudere una stagione di fraintendimenti: se il TAR sarà confermato, il DM 21/01/2022 non potrà più essere usato per vietare in via generale foglie e infiorescenze della canapa industriale; agricoltura e prima trasformazione rientreranno stabilmente nel perimetro della L. 242/2016; i controlli torneranno a guardare tracciabilità e offensività in concreto, non la mera morfologia della pianta; e l’assetto italiano si riallineerà ai principi UE di libera circolazione e di proporzionalità.
Gli esiti possibili in Consiglio di Stato sono tutti utili: una conferma della sospensione della forzatura sulla canapa nel TU Officinali consoliderebbe il precedente, mentre un rinvio alla Corte di giustizia UE o alla Corte costituzionale potrebbe regalare un chiarimento sovranazionale definitivo che metta finalmente un punto una volta per tutte. Perfino un rigetto ben motivato che ribadisca che senza efficacia drogante l’attività è legittima, può diventare istruzione operativa per uffici e Comuni. In ogni scenario questa battaglia legale ha il potenziale per diventare il primo precedente definitivo che mette in sicurezza la filiera su foglie e infiorescenze e smonta, alla radice, l’idea che si possa tornare a divieti assoluti basati sulle specifiche parti della pianta per decreto.
L’11 novembre 2025 il Consiglio di Stato ha emanato un’ordinanza che rinvia alla Corte di Giustizia UE.
Cosa dice il Consiglio di Stato
• UE: nessuna distinzione tra parti della pianta.
Il TAR Lazio (sent. 2616/2023) è richiamato per il principio secondo cui la legislazione UE, nell’ammettere la coltivazione delle varietà ammesse, “non opera alcuna distinzione tra le varie parti della pianta”.
• Quesiti alla CGUE sull’uso e la vendita di infiorescenze “light”.
Il CdS sottopone alla Corte se le regole agricole europee (PAC e TFUE) ostino a una normativa nazionale che vieta coltivazione/uso di foglie e infiorescenze e relativi derivati (CBD) da varietà ammesse entro i limiti THC.
• Mercato interno: restrizioni “non giustificabili”.
Le limitazioni italiane a foglie/infiorescenze e derivati “danno luogo” a restrizioni a import/export non giustificabili per salute/ordine pubblico, dato che il THC è “estremamente contenuto”; da qui la possibile non conformità agli artt. 34–36 TFUE.
• CBD legale in altri Stati membri: confronto che pesa.
La produzione di cannabidiolo “sembra essere legale in altri Stati membri”, con effetti sulle restrizioni italiane al commercio intra-UE.
• Scenario indicato: disapplicazione del diritto interno incompatibile.
È “possibile” che L. 242/2016 (letta col DPR 309/90) “debba ritenersi in contrasto alle norme europee e debba come tale essere disapplicata”.
• Novella 2025: irrazionalità del “solo infiorescenze”.
La riforma 2025 ha circoscritto il perimetro del DPR 309/90 “alle sole infiorescenze”, recuperando la liceità di foglie e semi (varietà ammesse, 0,2% con tolleranza 0,6%).
La novella non ha fatto venir meno l'interesse al ricorso degli operatori di settore, poiché la L. 242/2016 continua a vietare l’utilizzazione delle infiorescenze e dei relativi derivati, anche se da varietà ammesse entro i limiti PAC.
Il ricorso è stato curato dallo studio Legance con il supporto dell’avvocato Giacomo Bulleri, il quale dichiara: "Credo che questa ordinanza abbia colto in pieno le criticità emerse negli ultimi 10 anni e che continuano a creare confusione attorno alla canapa. La questione in realtà è molto semplice: la pianta di canapa nella sua interezza (proveniente da varietà certificate e con basso tenore di THC) è un prodotto agricolo, per cui la legge sugli stupefacenti non può trovare applicazione . Mi auguro che il giudizio dinanzi alla Corte Europea sia l'occasione per introdurre un doveroso discrimine in modo da cambiare definitivamente approccio alla questione, cioè smettere di criminalizzare una pianta e concentrarsi sulla qualità e sicurezza dei prodotti ottenuti in modo da poter sviluppare l'intero potenziale della filiera".
Di conseguenza è un ottima notizia perché
1. Allineamento UE: se l’UE non distingue tra parti della pianta, un divieto (ban) selettivo sulle infiorescenze è vulnerabile per discriminazione e sproporzione.
2. Libera circolazione: il Consiglio di Stato parla espressamente di restrizioni non giustificabili e di possibile non conformità al TFUE: è la base per disapplicare i divieti interni.
3. Convergenza europea: il riconoscimento che il CBD è legale altrove in UE spinge verso una armonizzazione pro-filiera e contro barriere nazionali isolate.
4. Quadro aggiornato: la stessa novella 2025, che salva foglie e semi ma colpisce solo le infiorescenze, evidenzia l’irragionevolezza del divieto e ne facilita il sindacato di proporzionalità.
Mattia Cusani, Presidente CSI:
“È un passaggio decisivo: il Consiglio di Stato fotografa l’anomalia italiana e chiede alla CGUE se si possa davvero colpire solo le infiorescenze quando l’UE non distingue tra parti della pianta e il THC è minimo. Per le imprese e i negozi significa una prospettiva concreta di serenità legale e di tutela della filiera, nel rispetto delle regole europee.”
“La corte chiarisce che l’interesse resta attuale: il divieto sulle infiorescenze è ancora scritto nella 242/2016 come modificata, dunque la questione UE va risolta e riguarderà anche il nuovo art 18 del DL sicurezza. Nel frattempo, i giudici nazionali hanno già gli strumenti per disapplicare le norme incompatibili con il TFUE.” Dichiara il giudice
2024 Ripetizione del Decreto Speranza sul CBD
L’attuale Ministro della Salute nel 2024 ha di nuovo approvato il decreto Speranza che voleva inserire gli oli di CBD per uso orale nella tabella dei farmaci a rischio d'abuso, cercando di limitarne nuovamente la vendita alle sole farmacie con prescrizione medica non ripetibile. Questo decreto avrebbe limitato fortemente il settore del CBD, mettendo a rischio diverse filiere industriali come l’erboristica, la cosmetica, la fitoterapia e gli integratori alimentari. Numerosi studi scientifici, inclusi quelli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come già dicevamo, hanno dimostrato che il CBD non presenta rischi di abuso o dipendenza. Il CBD non ha effetti psicotropi.
Il decreto è stato promulgato inizialmente senza approfondimenti e basi scientifiche per poter giustificare l’inserimento dei CBD tra gli stupefacenti; quindi, insieme alle altre associazioni di settore, abbiamo promosso un nuovo ricorso. L’11 settembre 2024 il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio accoglie l’istanza cautelare presentata dall’Associazione Nazionale Canapa Sativa Italia e le altre associazioni e sospende il decreto del Ministero della Salute del 27 giugno 2024.
Ma il governo ritira quel decreto e ne riemette uno nuovo identico, sanato dalla formale carenza di istruttoria grazie a nuovi pareri tecnici presentati da ISS e CSS. Pareri che però presentano studi chiaramente pretestuosi e grandi lacune dal punto di vista scientifico. Per questo le associazioni producono due perizie tecniche: una del Prof. Falasca (chimico farmacologo) e una del Prof. Cialella (medicina legale) che smentiscono punto per punto i recenti pareri di ISS e CSS, organi appartenenti allo stesso Ministero della Salute.
Nonostante questo, in un moto di interpretazione per noi non corretto da parte del giudice di primo grado, il ricorso è stato rigettato con un evidente difetto di istruttoria perché non si risponde in maniera imparziale circa le controdeduzioni presentate sui pareri e si è sentenziato senza prima avvalersi di una istruttoria tecnica d’ufficio per approfondire gli aspetti scientifici, appoggiandosi quindi solo ai pareri di ISS e CSS e ad un esasperato principio di precauzione.
CSI e le altre associazioni di categoria richiedono quindi l’impugnazione della sentenza del TAR al Consiglio di Stato con gli avvocati di primo grado Simonetti e Miglio e allargando il gruppo legale anche all’ex giudice e Presidente del Consiglio di Stato Sergio Santoro, allo studio Prestige e agli avvocati Libutti e Bulleri. La squadra legale è sostenuta anche da una perizia tossicologica di ChemSafe, istituto di tossicologia regolatoria. Al Consiglio di Stato si prospetta una vittoria per il settore data dalla carenza di istruttoria della controparte oltre che per l’evidente contrasto con la normativa nazionale e soprattutto europea.
Art. 18 del DDL Sicurezza (D.L. 48/2025, convertito in Legge 9 giugno 2025, n. 80) e denuncia alla Commissione Europea recepita
Nel cosiddetto DDL Sicurezza, progetto di legge storicamente sostenuto da Lega e FDI viene inserito da mano governativa l’emendamento 13.06 divenuto poi Art.18 del cd “decreto sicurezza” che, cercando di richiamare la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2019 sulla canapa, ribadisce il divieto già statuito, ma lo fa senza la necessaria formula che la Cassazione aveva inserito, la formula che specificava esplicitamente di escludere la punibilità per la produzione, vendita e commercializzazione di canapa quando priva di effetti droganti, quindi il necessario richiamo al principio di offensività.
L’Emendamento 13.6 (Misure aventi ad oggetto le infiorescenze della canapa e dei prodotti da esse derivati”) viene approvato a notte fonda tra il 31 luglio e il 1° agosto 2024 nelle commissioni congiunte Affari Costituzionali e Giustizia della Camera. Questo emendamento parrebbe introdurre una stretta sulle infiorescenze di cannabis light che non potrebbe essere né coltivata, né esportata, né lavorata, omettendo la formula inderogabilmente presente nell’ordinamento che chiariva che tale divieto si sarebbe potuto applicare solo a derivati in concreto stupefacenti. Il DDL Sicurezza viene approvato alla Camera dopo lunghi lavori, ma senza aspettare il termine della discussione e la votazione finale al Senato, viene sostituito con un decreto di urgenza (poi convertito in legge) divenuto noto come Decreto Sicurezza. Diventato da un giorno all’altro legge ad aprile 2025, proprio nei giorni in cui si svolgeva la più grande fiera italiana del settore della canapa, l’Indica Sativa Trade, questo decreto-legge colpisce la stabilità del nostro settore, ma soprattutto sembrerebbe mettere in dubbio alcuni diritti fondamentali di uno Stato di Diritto.
A dare ragione agli operatori della canapa interviene immediatamente l’ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione penale con la Relazione nº33 di giugno 2025 dove chiarisce che per evitare una chiara incostituzionalità e un evidente contrasto con la normativa europea, l’Art.18 non può che essere interpretato in senso meramente ricognitivo della sentenza di cassazione del 2019. Per poter essere costituzionale e in linea con la normativa UE, l’Art. 18 secondo il Massimario della Cassazione può essere interpretato solo come divieto su ciò che era già vietato prima, può quindi vietare solo ciò che è stupefacente e non può vietare la canapa non stupefacente con bassi valori di THC e contenente CBD commercializzata fino ad allora e a oggi.
Non appena l’associazione ha saputo dell’emendamento 13.06, ha presentato denuncia all’Unione Europea contro l’ambiguità dell’Art. 18 DDL Sicurezza insieme a molti altri operatori del settore, spiegando che questa norma non può vietare la coltivazione, il commercio, la trasformazione, il trasporto della canapa industriale con THC inferiore ai limiti di legge (erroneamente definita cannabis light), ma che può vietare esclusivamente le sostanze stupefacenti. Il decreto inoltre non è stato notificato al TRIS (Technical Regulation Information System), il sistema dell’Unione Europea che richiede agli Stati membri di notificare le nuove regolamentazioni tecniche che limitano il libero scambio, prima della loro adozione. Questa omissione rappresenta un’ulteriore violazione delle procedure dell’UE, che mira a garantire la trasparenza e la coerenza delle normative tra gli Stati membri.
Con la notifica alla Commissione Europea di una potenziale violazione dei regolamenti dell’Unione Europea relativi alla libera concorrenza e alla circolazione delle merci, derivante dall’emendamento 13.6 proposto al DDL Sicurezza, CSI chiede alla Commissione Europea di emettere un parere circostanziato come previsto dalla Direttiva (UE) 2015/1535. La Commissione ha recepito la denuncia che è al vaglio delle autorità e presto darà una risposta.
Che ruolo ha l’Europa e perché può “chiudere il cerchio”?
Un ruolo decisivo. Con le normative comunitarie ombrello relative alle PAC agricole da una parte e all’organizzazione comune del mercato europeo (CMO) dall’altra, si sta costruendo per il prossimo futuro una cornice uniforme per la filiera della canapa dall’agricoltura al commercio, una normativa chiara e armonizzata che darà ossigeno alle aziende della canapa europee e fermerà le interpretazioni a macchia di leopardo che si vedono trai paesi e nel nostro specifico paese. A oggi gli emendamenti sono passati nelle Commissioni, la plenaria sarà a ottobre.
L’Europa ha un ruolo chiave anche rispetto alle varie destinazioni d’uso umano della canapa. Proprio in questi giorni EFSA ha proposto un limite per l’assunzione giornaliera di CBD irrealistico: si è parlato di 2 mg/die, lontane dai dati d’uso reale e dalla letteratura che riporta valori molto più alti, come 17,5 mg/die), mentre lato ECHA restiamo vigili su classificazioni che potrebbero colpire indistintamente estratti e derivati.
Ogni riga scritta bene a Bruxelles rafforza le nostre memorie in aula, e ogni motivazione italiana ben costruita aiuta Bruxelles a fare ordine. È la via d’uscita elegante anche per gli Stati più restrittivi: “lo chiede l’Europa” e si allineano.
CSI ha organizzato incontri e conferenze per le parti sociali al Senato e alla Camera e tramite l’On Matteo Mauri Vicepresidente Commissione Affari Costituzionali è stata invitata alle audizioni, presentato inoltre diversi ricorsi annunciando a giugno 2025 in Sala Stampa di Montecitorio che tale ricorso non è contro lo stato ma è dalla parte dello stato in quanto intende accertare quale sia la giustizia e la legittimità pratica di operare, tutelando quindi in un interpretazione autentica più di 3000 aziende e 30mila lavoratori stagionali che altro non hanno bisogno di porre fine all’ambiguità purtroppo generata da questo art 18, troppo oggetto di polarizzazione politica che seguita dalle notizie catastrofiste hanno prodotto un particolare atteggiamento repressivo da parte delle forze dell’ordine.
Sistemi di Pagamento: perché stiamo facendo un accertamento legale
Alcuni sistemi di pagamento hanno bloccato i servizi e talvolta persino i fondi privati delle aziende della canapa. Per questa ragione si stanno effettuando degli accertamenti legali. Ma si tratta di azioni legali positive, non di cause milionarie: quello che serve alle aziende della canapa non è vincere un risarcimento tra dieci anni, ma poter riaprire subito i POS domattina. Nello specifico, per esempio, con Nayax (una fintech che intermedia pagamenti fondata nel 2005 in Israele), una ventina di associati hanno avuto sospensioni, portiamo quindi in giudizio i PSP per creare un caso pilota con documenti impeccabili e chiedere al giudice di dichiarare lecito per i provider di pagamento erogare servizi a operatori della canapa in regola. Non cerchiamo “colpevoli” da punire, ma vorremmo fissare delle regole chiare che i provider stessi siano felici di applicare senza temere rischi reputazionali. È un modello win-win: sblocca il mercato, tutela i provider, protegge i consumatori.
Nota per gli editori: è possibile pubblicare questo documento soltanto con chiaro riferimento a Canapa Sativa Italia (ass.ne) come autori delle informazioni contenute.


