Rick Owens e Telfar a Milano: la moda genderless USA che si nutre solo di arte e performance

due mostre - alla Triennale (fino al 25 marzo) e a Spazio Maiocchi (fino al 28 febbraio)

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17-01-2018
categorie: Moda,

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Rick Owens e Telfar a Milano: la moda genderless USA che si nutre solo di arte e performance

due mostre - alla Triennale (fino al 25 marzo) e a Spazio Maiocchi (fino al 28 febbraio)

 

Milano chiama e la moda statunitense più insubordinata e genderless nel più puro senso del termine risponde: il risultato, incredibile, è due mostre molto diverse tra loro. Subhuman Inhuman Superhuman (fino al 25 marzo alla Triennale) e Nude (fino al 28 febbraio a Spazio Maiocchi della omonima via).

 

La prima è una retrospettiva straordinaria del lavoro e delle opzioni creative di un designer californiano - francese d’adozione dai primi anni 2000 - noto ai più per la sua dedizione a colori puri (il nero, talvolta l’ocra e le terre) e alle forme primitive. E’ Rick Owens (1961) che estende la sua creatività non occasionalmente a tutte le forme di lifestyle, in particolare alla performance e all’arredo. Tutto il lato destro del piano terra del museo milanese è occupato da una grande installazione (manichini che indossano le sue creazioni e un grande blob nero: sovrastano entrambi le teste dei visitatori) che fa da spina dorsale a oltre 20 anni di creazioni d’alta moda realizzati con tessuti di prima qualità da lui stesso e da sapienti artigiani (quasi sempre italiani). Curata dall’esperta di moda del board della Triennale, Eleonora Fiorani, la mostra racconta anche dei backstage delle sfilate, della creazione analitica di un capo (con un video di Owens che in un’ora esatta posizione la camera, parte dalla stoffa cruda e crea un outfit), fino alla mostra di ogni elemento del suo mondo, inclusi curiosi inviti alle sfilate (più che presentazioni di abiti, si tratta sempre di performance e riti straordinari: incluso legare le modelle una sull’altra a testa in giù e farle passeggiare in questo modo durante il defilè per enfatizzare le scarpe) e una serie di arredi creati da Owens (in mostra solo una linea, quelli in pelle d’animale). 

Owens industrial designer sarebbe un capitolo a sé e potrebbe costituire un’altra mostra: ha esposto le sue straordinarie creazioni prima a Salon 94 (nel 2010, con la indimenticata Pavane for a Dead Princess che ha anche viaggiato a Basilea e Miami: per sintetizzare, una mostra di letti in alabastro) e poi, più recentemente da Carpenters Workshop. Così come privilegia le migliori pelli e i migliori tessuti quando disegna abiti, anche quando disegna mobili si affida al lusso senza compromessi scegliendo materiali nobili come alabastro, altri marmi e pietre. Nel suo attuale negozio di New York, ora situato a Howard St. (Soho), invece per la prima volta ‘scherza’ con il polistirolo espanso e crea una serie di camini (stufe, che scaldano davvero) che sono un vero ossimoro: ghiacciai/totem che fanno fuoco, in collaborazione con Hun (il marchio di Michéle Lamy quando disegna mobili e gioielli).

 

Owens non sarebbe il genio che è senza una grande donna alle sue spalle, la  moglie Michèle Lamy - dall’età indefinita e dalle doti quasi divinatorie (lui lascia un uomo e sposa lei, dopo aver lavorato per lei come designer all’inizio). Sue alcune delle più grandi operazioni per promuovere Owens Corp., tra cui un ristorante a Parigi, la Bargenale a Frieze e alla Biennale di Venezia (una barca insieme studio di registrazione e ristorante gourmet solo ad inviti). Ed in genere la capacità di trasfondere la creatività artistica pura nel mondo della moda e del design del marito. In un recente libro fotografico pubblicato da Rizzoli New York sulle collezioni di arredi di Owens, lui dice di Michéle: “We do have similar taste, but the reason the furniture is moving forward is because of her cultivating it. She embraces artists and artisans in an almost mystical way. Where I can be impatiently and tediously pragmatic, she can coax things out of people with love. She has gut instincts that I trust, so she edits the pieces,” he writes. “She does the same with my fur collection. She’s my personal beautiful witch.”

 

Telfar Clemens nasce a Queens, NY, nel 1985. All’opposto di Owens, disegna una linea democratica ed è stato il primo (a 18 anni, quando ha fondato il suo brand, Telfar, il cui logo assomiglia curiosamente a quello di Tacchini) a fare della moda genderless il suo tratto caratteristico. Ha vinto dopo molti anni di lavoro e quando era già terribilmente affermato, il premio Vogue per sostenere i giovani talenti (400.000 dollari per migliorare il posizionamento del brand) nel 2017.

 

A Nude ha presentato una mostra ‘senza vestiti’: a farla da padrone, come spesso accade nei suoi eventi, una serie di proposte musicali ed artistiche. Mano nella mano con i suoi genitori, due elegantissimi New Yorkers di origine liberiana che dispensano lo stesso sorriso dolce di Telfar (la madre gli assomiglia molto e veste un paio di curiosi stiletto a pois colore su colore), ha varcato lo Spazio Maiocchi gremito per l’opening. 

 

Una serie di modelli con alcune delle sue creazioni si contendevano una teca di vetro, il duo sudafricano FAKA (che ha cantato e suonato vestito da due parrucche da donna e da outfit Telfar) e i dj di Union Standard hanno fatto da ‘corona’ a un film artistico (una biopic breve del couturier nel suo appartamento e centro creativo a opera di Finn McTaggart, una composizione musicale per applausi di David Ross e Ryan Trecartin, un’installazione di manichini nudi dell’artista Frank Benson che è attorno ad una gigantografia di Telfar nudo (di Rob Kulisek), una tenda a mo’ di fine del mondo…un libro d’artista.

 

Anche Owens fa una moda genderless, assolutamente. La differenza tra i due, oltre ad alcune fasce di prezzo e a certi insistiti usi di materiali che divergono assai, sta nella modalità in cui si nutrono di arte visiva, musica e performance e soprattutto nell’uso del colore. Qui gioca l’età ed il milieu formativo, ovviamente. E una certa serie di statements. Owens rimane haute couture, Telfar (se non nel prezzo) la detesta per statuto e semmai porta quel certo comfort dello sportswear in territori in cui prima non era ammesso, quelli dell’eleganza, della ricercatezza, delle sezioni e dei colori non conformi.

 

Telfar inoltre sceglie di destrutturare forme note ed iconiche in un certo senso - dalla t-shirt alla longuette, agli short - creando insolite aperture e diverse fluidità nell’indossarle. Mentre Owens si orienta massicciamente su forme totalmente nuove nate dalla creazione di volumi aggiuntivi che sovrappone (anche lui) ad inedite aperture e soprattutto inediti modi di indossare capi sia come soprabiti che come abiti tout-court. E, nelle calzature, osa davvero con forme scultura (spesso riprese da designer europei dopo i suoi primi lanci sulle passerelle).

 

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