Conversazioni con Ralph Rugoff, il curatore della Biennale d'Arte di Venezia

May You Live in Interesting Times il titolo prescelto

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Conversazioni con Ralph Rugoff, il curatore della Biennale d'Arte di Venezia

May You Live in Interesting Times il titolo prescelto

Batteri incorniciati (Anicka Yi), intelligenza artificiale, tanta pittura (non tutta condivisibile a giudicare dal tempo di permanenza dei visitatori accanto alle opere), emozionanti e straordinari ready made (Gabriel Rico, Augustas Serepinas) e tanta ottima fotografia (Rula Halawani) vista ai Giardini nella sezione curata da Rugoff, ma anche un’enciclopedia sovversiva (Tavares Strachan che presto intervistiamo su Slow Words) e molto altro come un j’accuse immersivo a Fincantieri (ora Leonardo Spa) di Hyto Steyerl e i grandi disegni di Kaari Upson.

Quattro donne spiccano per altrettante proposte ai Padiglioni Nazionali.


Laure Provost monopolizza l’attenzione complice la sovversione dell’intera architettura del padiglione Francese (si entra da una gimcana tentacolare nei fetidi giardinetti ai lati) e crea un film al fulmicotone (una storia vera che si dipana dalla Francia a Venezia e che coinvolge un gruppo di giovanissimi, con a tratti immagini di nudi infantili) le cui immagini velocissime in realtà assai disturbanti proprio per la loro abbondanza si sposano ad un testo straordinario in inglese e francese. Tutto intorno il segmento di vita narrato nel film, che è in tre sale, realizzato in resina vetro e stoffa (con un arazzo straordinario di oltre 5 metri e un colombo bianco vero che è libero di girare - come nel film - di mano in mano alla gente).
 

Cathy Wilkes genera una complessa geografia degli affetti e della sofferenza con oggetti e foto trovate al Padiglione inglese ed è una delle mostre più belle che abbia mai visto lì.
 

Natascha Süder Happelmann crea forse una delle opere più belle della biennale, la cui componente principale visibile è quella sonora mentre quella non udibile è una fiera analisi della situazione geo-politica attuale.
 

La Palestinese Larissa Sansour presenta al Padiglione Danimarca una straordinaria doppia proiezione dalla sceneggiatura sublime e una grande architettura sonica, ve ne abbiamo parlato intervistandola su Slow Words qualche settimana fa. Il film è stato accolto con enorme apprezzamento dal pubblico e la sala è stata sempre assai affollata.
 

Il Belgio presenta un teatro delle marionette, alcune movibili, in Mondo Cane che è anche però un teatro della bestialità umana e sicuramente farà parlare di sé a lungo.

 

L’opera filmica - sia essa documentaria o di finzione, od ancora una parte di un’opera più complessa, esprime i livelli migliori in questa Biennale.

 

Il Brasile presenta uno straordinario lavoro a quattro mani di Barbara Wagner e Benjamin de Burca. Prima volta per loro a Venezia (nella vita, non solo alla Biennale) firmano Swinguerra (Swingueira)  firmano un documentario davvero orizzontale ambientato tra crew di ballerini queer, la cui sessualità evanescente e cangiante fa da contrappunto ad un tipo di danza (di gruppo) molto popolare a Recife. Scoprirete tutto molto presto perché abbiamo intervistato Wagner e de Burca su Slow Words. Il Brasile di Bolsonaro, oltre la loro pratica artistica, è stato materiale di una divertente ed apertissima conversazione propria al padiglione Brasiliano.

 

La Svizzera porta al centro il dibattito politico europeo con un ‘club astratto’: un proscenio con una tenda meccanizzata, un video in cinque partizioni per altrettante coreografie che anche mettono al centro il tema della identità transessuale, lesbica ed omosessuale ma soprattutto la deriva marchiana dell’Europa. Il Padiglione è stato ridisegnato anche fuori, con comode sedute minimal e sembra davvero straordinario come punto d’incontro.
 

L’Arsenale è il luogo delle grandi installazioni per quanto riguarda la sezione curata da Rugoff (molti padiglioni prima nomadi in città sono stati trasferiti all’interno, tra cui Malta e Lussemburgo).
Questa biennale polarizza molto i critici del ‘metodo Rugoff’: se tutti concordano sulla positiva idea di diminuire il gruppo di artisti e presentare più opere di ciascuno, molti sono poco contenti del fatto che tante di queste opere siano state già esposte in precedenza. Fuori dalle sedi ufficiali della Biennale (dove si sono moltiplicati gli eventi concomitanti anche se non ‘collaterali, drasticamente diminuiti) i novizi del settore invece si lamentano di vedere una gran quantità di mostre orribili non avendo mestiere nello sceglierle.
Tornando ai lavori della sezione principale, i più emozionanti sono ancora una volta firmati da Arthur Jafa (commosso Leone d’Oro, purtroppo premiato da un politico razzista come Luca Zaia), Hyto Steyerl, Slavs and Tatars che qui creano una fontana, a mò di bagno turco, con un distributore di bibita all’aceto, ideale dopo un hangover. E Ikeda con una straordinaria opera video che visualizza dati scientifici e reazioni chimico-fisiche.

La fotografia all’Arsenale si arricchisce di nuove ricerche degli artisti già presentati ai Giardini, in particolare dieci immagini di architetture incomplete di Anthony Hernandez; scene (finte) da un black out a New York messe in scena da Stan Douglas (che abbiamo visto anche nelle scorse biennali) e una spiazzante collezioni di grandi ritratti di persone e manichini insieme firmati da Martine Gutierrez.
Sintomatica della incomunicabilità odierna - su ogni scala, dal privato al pubblico - è l’opera ciclopica di Shulpta Gupta: 100 microfoni che in realtà diffondono audio e altrettanti spuntoni di metallo dove è infilzata una frase ciascuno (poi trasmessa dai microfoni). Si tratta di messaggi potentissimi in tutte le lingue.

Arrivare in fondo all’Arsenale premia, perché nel torrione del Giardino delle Tese alle Vergini un video di Cyprien Gallard che paragona due metro (Mosca e New York, di quest’ultima i vagoni usurati vengono addirittura gettati in mare a decine!) è spiazzante e straordinario.

Emozionano, per motivi molto diversi, due elementi che irrompono dalla vita reale, oltre al muro della città di Juarez che ci ha portato Teresa Margollez (moglie del leone d'oro alla carrieara Jimmie Durham, che ha ricevuto per quest' opera) una menzione speciale dalla giuria). All’Arsenale, il grande barcone dei migranti con i suoi poderosi squarci nella chiglia (che lasciano intravedere la stiva dove si immaginano rinchiusi centinaia di migranti). Ai Giardini, il Padiglione Venezuela rigorosamente chiuso.

 

Rugoff: ’Ho letto metà dei comunicati stampa dalla mia casella di posta oggi e nessuno sembra provenire da una mostra d'arte, tutti parlano di catastrofi. Gli artisti si occupano di punti di vista alternativi e volevo celebrarlo senza un tema come le altre 300 biennali del mondo. Non sono un fan delle grandi teorie dei curatori. Mi piace una conversazione aperta che non risolve le cose. Ho impostato una sorta di spettacolo con due sezioni (come una "proposizione a" e una "proposizione b" rispettivamente in Arsenale e Giardini). Tutti gli stessi artisti mostreranno in entrambi i posti con opere diverse. Suggerisco di leggere The Open World di Umberto Eco. Apertura, essere complessi: trovare il rumore dell'informazione o qualcosa che può dare senso alle disuguaglianze (sociali, media). Piuttosto che essere esposti a più informazione, ne abbiamo meno e direi che Internet ha tradito le sue promesse: è una libera circolazione di disinformazione.’

 

‘L’arte imbraccia traiettorie controverse e multifocali - del resto gli esseri umani sono assai contraddittori nei loro desideri e nelle loro scelte. E permette di fare connessioni impossibili da raggiungere senza. 

L’arte è soprattutto in grado di decrittare i tempi che viviamo in molti modi differenti. E’ un veicolo per avvicinarsi alla conoscenza più che una forma di conoscenza essa stessa. Tuttavia non vedo la mia Biennale come una mostra politica, ne sono già state fatte tante: sarà un progetto totalmente nuovo, su misura per Venezia - Italia, Europa - per gli spazi espositivi che la accoglieranno e per il tipo di pubblico che la visiterà. E si dedicherà ad essere contro l’eccessiva polarizzazione’.

 

Sono alcune delle risposte che ha dato ai giornalisti durante il consueto question time che ha seguito la sua presentazione ufficiale, sì perché il curatore americano di stanza in Europa (da molti anni) Ralph Rugoff oggi ha presentato sé stesso a Venezia in qualità di curatore della prossima edizione della Biennale d’Arte, la 59ma, e ci ha anticipato il titolo: May You Live in Interesting Times che prende a prestito un anatema cinese, che pare fosse stato importato molto tempo fa da un diplomatico inglese di stanza in Asia. 

L’aggettivo ‘interessante’ è un po’ fuorviante in quanto questo ‘augurio’ ha un’accezione negativa e Rugoff ne ha sottolineato l’ambivalenza anche in merito alle distorsioni della comunicazione, al solipsismo e alla solitudine digitale che contraddistingue le interazioni sociali oggi che sono ormai stabilmente arenate al più infimo degli ipogei e, perché no, alle fake news..E ha concluso dicendo che la sua visione del significato dell’anatema è più un incitamento che una maledizione.

 

La sua Biennale che il pubblico vedrà a Venezia dall’11 al 24 novembre 2019 (mentre dall’8 al 10 maggio la stampa) si rivolge, sin dal titolo, alla difficile storia attuale del nostro mondo, dove i recenti accadimenti - dal risorgere del fascismo in tanti stati Europei, alla Brexit, all’elezione di Trump  - sarebbero stati inimmaginabili fino a poco tempo prima ed anche poco prevedibili. Ma lo fa con un twist: creerà una esibizione che agisce prevalentemente sul piacere come motivazione ad imparare di più e di più vero sul mondo e cercherà di trasportarci in luoghi mai visti prima. 

 

Rugoff ha specificato che May You Live in Interesting Times sarà una biennale inedita dal punto di vista della programmazione, del lavoro con gli artisti di riferimento e della decisa sottrazione delle categorie e dei generi espositivi. 

A differenza della Biennale scorsa curata da Macel, gli artisti per Rugoff saranno centrali per altri motivi, tra cui anche un deciso ruolo ‘curatoriale’ che spesso si materializza anche con …consigli di nuovi artisti da invitare.

Ovviamente, il curatore ha anche aggiunto che sa quello che non vuole, partendo proprio dalla sua esperienza di visita a Venezia delle precedenti edizioni della Biennale. 

Avendo sempre provato un senso di esaurimento, mentre era impegnato a non perdersi per Venezia e a visitare circa 30 mostre in poche ore, vorrebbe disegnare un’esibizione che lui paragona a un viaggio più che a un filo e che sia in grado di trascinare gli spettatori tra Arsenale e Giardini (i padiglioni nazionali quest’anno non avranno un tema a cui attenersi, pare).

Nel presentare il nuovo curatore, Paolo Baratta - sempre saldamente a capo della Fondazione Biennale SPA - fa il punto specialmente sulla grande crescita di pubblico della Biennale a 20 anni da Aperto di Szeeman (ora si viaggia sulle 650.000 presenze) e dal fatto che la kermesse artistica è sempre più una macchina del desiderio ed un ‘luogo degno di pellegrinaggio’ affermando che con questa crescita di pubblico e di reputazione si assiste anche ad una solidità economica sempre maggiore che finalmente permetterà alla Fondazione di assolvere a (quasi) tutte le spese, coprendo anche la maggior parte dei doppi costi di trasporto (di solito sono pagati dalle gallerie che si occupano poi della vendita delle opere della Biennale, che come vi abbiamo spesso raccontato rappresentano un importante salto nella vita professionale degli artisti invitati).

 

 

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