Altra Voce Altro Spazio: 40 concerti a Venezia per la Biennale Musica

Tra pochi giorni online le versioni integrali in visione gratuita

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Altra Voce Altro Spazio: 40 concerti a Venezia per la Biennale Musica

Tra pochi giorni online le versioni integrali in visione gratuita

Dal 4 al 13 ottobre a Venezia ritorna la Biennale Musica, giunta alla sua cinquantasettesima edizione. Tre appuntamenti al giorno (incluso un curioso Pop Up Concert for One, voce a cappella di Sofia Taliani destinato ad un solo spettatore per volta), 30 prime mondiali (e 10 prime italiane), 81 compositori invitati di cui la metà, anzi più della metà, hanno trent’anni. Non è solo questo: come per la Biennale Teatro dove Paolo Baratta, presidente della Biennale aveva dichiarato di colmare un vuoto di attenzione premiando un grande del teatro italiano nemo propheta in patria (Romeo Castellucci, Leone D’Oro), anche per la kermesse dedicata alla musica contemporanea l’istituzione veneziana cerca di dare attenzione ai compositori giovanissimi ed in particolare italiani, spesso o per la maggior parte espatriati in mancanza d’occasioni (Ivan Fedele, direttore artistico: “uno stipendio di docente al Conservatorio in qualsiasi città europea è quattro volte quello italiano”) con la Biennale College. Come per le altre discipline sviluppate dalla Fondazione Biennale SPA, anche per la Musica è stato istituito un bando internazionale per selezionare giovanissimi compositori, registi, librettisti e scenografi. Quattro sono i progetti premiati, di cui tre italiani e uno israeliano. Ve ne parleremo diffusamente in un prossimo articolo, dove intervisteremo i protagonisti.

Il calendario della Biennale Musica n. 57 offre un imperdibile quartetto Arditti che si cimenta nella storica Helicopter String Quartet (in quota, 1500 metri, su altrettanti elicotteri, la pièce sarà ascoltata nella Sala Grande del Lido) di Stockhausen. Ivan Fedele: “La storia di questo grande pezzo è strana. Arditti chiese a Stockhausen una musica per quartetto e lui rifiutò dato che non era interessato a quella forma, poi ci ripensò e trovò l’idea della composizione con gli elicotteri, in cui anche l’elicotterista ha un ruolo. La frequenza del rotore viene usata come variatore di ritmo (piccole cabrate o picchiate creano il tono grave; un’impennata cerca di tradurre un acuto); il ritmo viene dato dal figlio di Karlheinz che in cuffia ai musicisti rimanda 1, 2, 3 (ovviamente in tedesco)”.

Tra le altre esecuzioni, Glorious Percussion di Sofija Gubaidulina (Leone d’Oro alla Carriera, mentre il Leone d’Argento per la prima volta a una fondazione, l’Italiana Spinola Banna per l’Arte). La Gubaildulina terrà una conferenza il 3 ottobre a Ca’ Giustinian, la sede prescelta per alcune novità di quest’anno. Prima tra tutti una rinnovata acustica della Sala Delle Colonne (lo avevamo scoperto in anteprima, parlando con il direttore tecnico all’opening della Biennale Teatro): rifatte le fonoassorbenze e migliorata la diffusione. Poi i nuovi concerti-aperitivo: sia di mattina (prima di pranzo) sia di sera sono accompagnati da uno spritz (offerto ai possessori di biglietto) sulla magnifica terrazza di Ombra del Leon, il bar a piano terra del palazzo della Biennale (a pochi passi da San Marco in, Calle del Ridotto, la parallela di Calle Vallaresso dove c’è l’Harry’s Bar) che ospita anche tutte le presentazioni di libri ed il meeting point dove trovare tutti i cd dei compositori invitati.


Il Conservatorio Benedetto Marcello offre due calendari che si intersecano con la Biennale Musica, nella straordinaria sede di Palazzo Pisani: Viva Verdi (8, 9, 10 Ottobre dalle 18,15, ultimo ingresso 20.30 circa: ascolti e archivi dedicati al celebre compositore nell’anniversario della sua morte) e una maratona di  musica elettronica a cui hanno partecipato gli studi di fonologia anche dei Conservatori di Castelfranco Veneto, Padova, Vicenza.

 

Paolo Baratta: “Con College quest’anno abbiamo rispolverato il genere dell’intermezzo, la vecchia farsa che spazzava il ritmo serio e grave delle grandi opere tragiche: abbiamo chiesto a giovani artisti con un bando internazionale di presentare lavori brevi di 12 minuti il cui libretto dovesse essere di taglio comico-satirico. La nostra idea per supportare una maggiore diffusione della musica contemporanea è infatti investire sul momento comico! I quattro progetti scelti: due saranno subito rappresentati il prossimo anno, gli altri studieranno con grandi del settore qui a Venezia durante i giorni della Biennale. E il 14 ottobre presenteremo, sempre a Venezia, un racconto degli altri partecipanti alla Biennale College di Cinema dedicato al pubblico.  Se l’anno scorso ci siamo dedicati al racconto del linguaggio della musica contemporanea ed in particolare la dicotomia minimalismo/massimalismo, questa edizione si concentra sulla voce e sullo spazio. 37 sugli 81 compositori invitati sono italiani: ci siamo posti la domanda di come vivono e dove, chi si occupa di loro e chi gli commissiona lavori. Abbiamo scoperto che la quasi totalità vive all’estero, tranne uno (che però per pubblicare libri lo fa all’estero). Con College quest’anno abbiamo quindi deciso di lavorare in favore delle nuove generazioni, in particolare italiane."

Questa Biennale presenta una grande assonanza con quella firmata da Sieni (Biennale Danza), dove lo spazio ed in particolare quello urbano era protagonista essenziale.

Ivan Fedele, direttore artistico: “Il titolo della Biennale è preso in prestito da un lavoro di Luciano Berio. E’ vero quest’anno privilegiamo voce e musica ma ci saranno anche tante performance; un collettivo italiano (nu thing) che offre una insolita narrazione: una playlist di autori che loro amano, accoppiata a video di altri artisti. Avremo cori, in particolare di bambini, come quello di Radio France e quello del Comunale di Bologna. Soprattutto avremo una serie di performance per suono in 3d: una Nostalgia Utopica di Nono, una di Monteverdi e una di una compositrice olandese/coreana (le prime sono riadattate, l’ultima è scritta apposta per questa tecnologia del suono che viene resa possibile da centinaia di altoparlanti in grado di spazializzarlo e di offrire un contrappunto di impulsi).”

Anche quest’anno la Biennale organizza Quarto Palcoscenico per gli ascolti dal web e soprattutto nella sezione Media, sono disponibili già interviste a tutti i protagonisti invitati.

Seguiremo e recensiremo le prime più importanti ed intervisteremo gli artisti vincitori del bando College Musica. Continua a leggerci qui!



Gli spazi del cielo, di Spanna e di una stanza. Karlheinz Stockhausen, Sofia Gubajldulina, Venezia _ Italia

 

La prima giornata veneziana del 57mo Festival Internazionale di Musica (trasmesso in diretta su Radio 3), ieri 4 ottobre, è entrata nel cuore della concezione di spazio per la creazione musicale (insieme alla voce ed al coro, i capisaldi di questa edizione secondo il curatore Ivan Fedele) offrendone tre davvero inusuali. In maniera netta, straordinaria, senza mezzi termini – offrendo allo sguardo e all’ascolto un concerto per archi ed elicotteri, una straordinaria sinfonia per percussioni e un pezzo di Mitteleuropa che conta nella musica del XX secolo (oltre al Leone D’Oro, una sinfonia di Lutoslawski). E due distinti minuti di raccoglimento per la tragedia di Lampedusa, ricordando il lutto nazionale.

Gli spazi del cielo, conquistati dal sogno di Arditti (che con il suo quartetto ha dato per la terza volta l’occasione di vedere/ascoltare la pièce, la seconda fu ghiotta e sponsorizzata da un energy drink che ormai finanzia tutto, dalla musica al design alla Formula 1) sono entrati nelle menti voraci delle scolaresche (centinaia di bambini e ragazzi invitati a teatro) assise alla prima in un Palazzo del Cinema versione semi-invernale. Quattro elicotteri, dopo essere riusciti a dribblare l’inquinamento di onde radio causate dal Marco Polo (e chissà anche dalle navi da crociera e da cargo che lì accanto passano ancora copiose per entrare a Venezia), hanno portato in volo altrettanti membri del quartetto, che in 32 minuti hanno suonato (con una parte di improvvisazione mai lasciata al caso) la partitura scritta dal grande maestro tedesco. Il rotore, vero motore del tempo dell’azione, si amalgama con l’eterno ritorno delle convulsioni degli archetti sugli strumenti. Insaziabili come un rapace, si muovono ad una velocità impazzita e rappresentano una vera prova di resistenza fisica e psichica, riportata all’interno del Palazzo con video e un mixing sound che “è” l’opera, altrimenti inudibile ed invisibile (alle macchine due sound designer d’eccezione, che hanno già lavorato nella prima versione ed edizione dell’opera: André Richard e Thierry Coduys). La storia e l’aneddotica dello Streichquartett è nel link di Wiki nel bottom della news sul nostro sito.

Banna è uno spazio fisico, amministrativo e sociale. E’ soprattutto uno spazio utopico, dove tutte le arti, da quelle plastiche alla musica, interagiscono e vengono sostenute. Banna, alle porte di Torino, è dove i marchesi Spinola (premiati ieri con il Leone d’argento in una lunga cerimonia e concerto al Teatro alle Tese dell’Arsenale) invitano attraverso un’omonima fondazione i giovani musicisti e compositori finanziandone il perfezionamento e soprattutto curandone il posizionamento sul mercato. E’ bella la sequenza ideale di questa premiazione. La russa Sofia Gubajldulina premiata per una carriera densissima, iniziata con l’accusa di essere dissidente e di frequentare festival banditi dalla repubblica sovietica (tra di essi anche la Biennale di Venezia!) e l’Italiana Spinola Banna per il sostegno a chi una carriera la forma. Anche il libretto della Biennale, quest’anno, reca in bell’evidenza le biografie dei compositori nati dopo il 1980. Segno che la rotta s’inverte, almeno qui ed almeno ora.

In prima esecuzione italiana, Glorious Percussions della Gubajldulina (con l’eccezionale, indimenticabile partecipazione de Les Percussions de Strasbourg insieme all’Orchestra de la Fenice): nata nel 2008 questa partitura è sofisticata, inaspettata ed incredibilmente attuale.
Genera rapidamente opzioni – e quindi emozioni - molto contrastanti: dalla libertà della pacificazione alla frenesia della fuga – spesso sottolineata dal battere frenetico degli archetti sulle corde o da scrosciare di bamboo chimes.

Più che solo musica, è un puro romanzo da leggere ad occhi chiusi, insomma uno spazio del racconto, quasi un audiolibro a cui mancano le parole ma ci sono solo le musiche dell’azione. Ci sono, peraltro, intere onomatopee in musica: dall’acqua al fragore di cristallo, dal guizzo del pensiero a quello della natura, dal fuoco che nasce al fusion del jazz (nel pezzo ci sono parti di improvvisazione): quel che è certo è che il lavoro timbrico e tattile originato da percussioni inusuali e straordinarie (sentite e viste per la prima volta le glass chimes, le bamboo chimes, la cabaza, il darabuca) entra sotto pelle e agisce come un catalizzatore: non è una pièce che si ascolta stravaccati nella poltrona, anche grazie alla capacità di guida del direttore John Axelrod (che fu il primo a rappresentarla e che per un periodo formò anche un’orchestra omonima ad essa dedicata). Glorious Percussions mette alle corde, sulle corde e si ascolta solo in punta di sedia, pronti a volare, a raggiungere la camera timbrica dell’orchestra dove tutte queste percussioni sono ottimamente mischiate (e del pari separate in assoli vertiginosi, come quello dei 5 solisti che suonano grandi tamburi e sembra sparino fuochi d’artificio) tra fiati e archi, anche in senso fisico, sparigliati e segmentati attorno a tutti gli altri nella camera sonora creata alle Tese e ottimamente, anche.
La sinfonia termina con un levare, ancora carico di suono e di profezia che dura un tempo infinito. Abbiamo, subito dopo gli applausi interminabili, chiesto al Leone d’Oro se aveva in mente in particolare per questa composizione (parla solo russo e tedesco ma siamo riusciti!), od in generale quando lavora ad altre, un testo letterario o altro di riferimento. Molto emozionata e felice dell’apprezzamento del pubblico, la compositrice russa, classe 1936, ci ha risposto che in genere compone senza testo, almeno che non le sia chiesto di aderire ad uno specifico. Ma in questo caso, Glorious Percussions si ispira ad una poetessa (ed è provvisto anche di un testo): Marina Ivanovna Tsvetaeva.  Non è stata l’unica a scrivere musica per la Tsvetaeva, ma di sicuro Glorious Percussions lascia senza fiato così come le poesie della dissidente russo-polacca (oltre ad essere stata dissidente come la poetessa, anche la Gubajldulina è per metà russa e per metà di un’altra etnia, per la precisione Tartara).

 

Visioni, musica per occhi in world première, commissionata dalla Biennale

 

 

“Oggi abbiamo fatto un laboratorio a tema all’Arsenale (dove è in corso la Biennale d’Arte, ndr) ed ora ci apprestiamo ad entrare al concerto, siamo una classe di seconda media”. Incuriosita dalla stessa scolaresca che avevo notato, tra tante, alla prima della biennale musica (il quartetto di Arditti su musica di Stockhausen il 4 ottobre), mi sono fermata a scambiare qualche parola con i docenti e gli studenti di una vivace ed attenta classe italiana di un paese vicino a Mogliano Veneto. Sono tra le migliaia di studenti che grazie al programma Biennale Educational sono invitati a trascorrere speciali ore di formazione – al 90% ed oltre finanziate dalla Fondazione - che comprendono sia laboratori sia visite alle edizioni correnti della Biennale (avevano visitato quella d’arte e quella di musica pagando soltanto 9 euro, dove è incluso il trasporto dalla scuola a Venezia e ritorno, l’assistenza di docenti e tutor per il laboratorio, biglietto di ingresso a tutte le sedi incluso quello del concerto: un’azione encomiabile per formare le future generazioni).
Dopo questo incontro, Visioni (un’opera complessa e matura, firmata da un compositore trentunenne) ho cercato di vederla con gli occhi questi dodicenni miti, timidi ma interessati che hanno assistito all’esecuzione. E  ho cercato di immaginare i percorsi culturali extra-scolastici che i loro docenti affrontano spesso con fatica data la carenza di fondi e di spazi idonei (la docente lamentava gli altissimi biglietti di ingresso ai musei civici veneziani per i docenti che devono formarsi per poi portarvi le classi: mi spiegavano, ad esempio, che in altre regioni italiane come la Toscana i docenti entrano gratis). Mi sono anche chiesta quanti e quali studenti torneranno con i loro genitori a ri-visitare altre sezioni della biennale (nel prezzo-strenna d’ingresso è compreso anche un altro tagliando di visita che possono utilizzare con le famiglie).
Ora, parola alla musica: Visioni, prima esecuzione assoluta, 50’, è un lavoro maturo ed eccezionale e si innesta nelle innumerevoli soluzioni che Fedele avrà scelto per farci ascoltare il peso e la duttilità della “voce” nella composizione contemporanea. In questo caso, come suggerisce il titolo, si tratta di musica per occhi nel modo più letterale del termine.
Un progetto di Eric Maestri (ha studiato con Fedele a Strasburgo, è di Nancy e ha due lauree: in composizione ed in filosofia) con musiche di Daniele Ghisi, Visioni è una commissione della Biennale di Venezia (Maestri fa anche parte del collettivo e blog Nuthing che presenta un programma di ascolti e visioni il 6 ottobre a Ca’ Giustinian).
La messa in scena, firmata da Chiara Villa (italiana, lavora come regista per la lirica tra Strasburgo e Parigi) è forse - agli occhi di quei giovani studenti a cui a torto ho suggerito di chiudere gli occhi se non riuscivano a seguire la musica dato che li avrebbe aiutati - la parte più avvincente della pièce perché le scelte di regia aderiscono perfettamente al dettato musicale e ritmico (tanto robusta è la messa in scena perché straordinaria è la regia luci, impeccabile, firmata da Victor Egéa). E’ un progetto low-cost a quanto ci dicono (“il problema è affittare tecnologia, molto costosa, come ad esempio lo speciale proiettore che ci consente l’illuminazione sculturale degli oggetti: se strutture come musei e teatri la posseggono, in sé siamo in pochi e costiamo poco”), ci hanno lavorato circa 10 persone (Ensemble L’Imaginaire la creatura di Maestri) e l’unica cosa fondamentale è avere due giorni di prove per assestare bene la pièce al luogo dove si svolge.

L’azione (musicale e scenografica) legge e scopre, letteralmente, tanti oggetti trovati che sono posizionati in tutto il palco del teatro dell’Arsenale. In fondo, coperti dal buio, ci sono i musicisti. Si tratta di oggetti che fanno parte ovviamente del vocabolario della musica: parti di casse, luci, amplificatori e vecchie super 8. Sono illuminati da una sequenza di luci e di grafica (grazie ad un potente proiettore che lavora con le sagomature) e “parlano”, hanno voce: la prima sequenza dei loro vagiti ha toni glitch, che poi virano decisamente verso l’elettronica industriale. Dopo, Visioni cede il passo agli strumenti ma lo fa soltanto al decimo minuto di esecuzione e scenicamente il cambio di passo viene sottolineato da una scansione luminosa che “presenta” al pubblico i musicisti finora rimasti in ombra in fondo al palco (Kerio Murakami al flauto, Philippe Koerper al Sassofono, un fantastico pianoforte ad opera di Maxime Springer, le ottime percussioni di Olivier Maurel che lavorano molto in sincrono e contrappunto con il penultimo). Gl oggetti in scena (assemblati da Olivier Perriquet) sembrano “agganciati” a delle casse musicali che li sostengono ma in realtà sono solo appoggiati e la “voce” che sembrano diffondere incarna il sogno di sentir parlare finalmente gli oggetti. A poco più della metà della composizione il suono si fa concreto: piano fiati e percussioni conquistano la scena finora dominata dall’elettronica, conquistano “letteralmente” banda e “voce” nelle scelte del mixing (firmato da Matthieu Zisswiller) anche se non abbandonano – quasi mai – un registro freddo e minimale à la Riley: molto innovativo il trattamento al mixer del piano sulla percussione e viceversa, in alcuni momenti le note dello strumento appaiono felpate, quasi provenienti da un’altra dimensione. A tratti, inoltre, i fiati sembrano riecheggiare dei temi di Jelinek proprio per il missaggio ricevuto.

Il silenzio, sia all’inizio sia durante i cambi di passo citati, è un elemento ben coeso alla partitura: scenicamente viene reso con dei cambi di luce molto intensi, dal giallo oro al blu indaco.
Domenica 6 ottobre, due chicche: una prima esecuzione assoluta di un pezzo di Stockhausen modificato (Tierkreis) e quattro pezzi suonati da Les Percussions de Strasbourg, già viste all’opera con la prima esecuzione italiana del Leone d’Oro Gubajldulina.

 

La Voce Abissale della Divinità

 

 

Gli ultimi giorni della Biennale Musica, conclusasi domenica 13 con una maratona musicale nelle diverse sedi che l’hanno ospitata (oltre a Ca’ Giustinian e l’Arsenale, anche il Conservatorio) ci dicono, che in realtà non finisce qui! Lo spazio web della Biennale, Quarto Palcoscenico  (http://www.labiennale.org/it/mediacenter/quarto_palcoscenico/), metterà in rete (in versione integrale) molti dei più importanti concerti del festival: tutti quelli di cui vi abbiamo parlato in questi commenti alle première più la sperimentazione del suono in 3D in 21st Century “cori spezzati”, il concerto dell’Orchestra di Padova e del Veneto, il vocalismo creativo di David Moss in More Voices in Venice. E ancora, soprattutto, il “dietro le quinte” e la performance di Helicopter String Quartet che ha dato il via al 57. Festival Internazionale di Musica Contemporanea nei cieli del Lido di Venezia.


Tra le performance più insolite e struggenti della seconda settimana di festival, Homoiomereia (andata in scena con il sostegno della Fondazione Svizzera Pro Helvetia ed altri partner) di Pietro Luca Congedo che ha suonato, letteralmente, la materia indagandone le potenzialità ritmiche e timbriche anche azionate dall’elettronica (tramite un guanto, il performer azionava a distanza cinque batterie pressoché identiche tra loro, che spazializzavano il suono). Le voci di ferro, alluminio, gres porcellanato (mattonelle), mylar sono state create microfonando (sia a contatto sia in panoramica) questi oggetti che venivano percossi con i ritmi impressi dalla mano del compositore che, sotto una densa partitura elettronica (i primi 30 minuti molto eterea, i seguenti più ritmica), venivano rielaborati in diretta dal performer, ispiratosi alle omeomerie di Anassagora e alla teoria molecolare (De Rerum Natura).

Tra le prime assolute, due segnalazioni entrambe sostenute anche con la collaborazione dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (che le ha commissionate): …Al Crepitio del Sole….L’Inatteso vocìo di Silenzi… del compositore Adriano Guarnieri (1947, presente in sala) e, straordinaria, L’Officina della Resurrezione, firmata da Fabìan Panisello che ha diretto anche la precedente (eseguite a Ca’ Giustinian con la formula concerto/aperitivo).
Andate in scena domenica 13 insieme ad un raro quartetto in Mi Minore di Verdi (1873), la prima si basa su un testo liberamente tratto dal Canto del Muezzin di Dino Villatico (2012) e ha una partitura dura e verticistica per quartetto d’archi, 2 tromboni e soprano (Laia Falcon). L’Officina della Resurrezione ha molto più respiro, appassiona ed incatena, anche grazie alla grande prova canora e recitativa del baritono Leigh Melrose. E’ una storia tutta incentrata sulla creazione (il titolo di questo post è preso da un verso del canto: il baritono lo ripete due volte). Oltre al Libro di Ezechiele, il testo è originale di Erri de Luca (si alterna ebraico ed italiano). Canta tutto in questo pezzo ed il portato sfiora spesso il melodico, cantano anche il primo violino e tutti gli altri archi e soprattutto sono suggestivi degli innesti registrati di voci (decine e decine) ed alcuni momenti di prosa senza musica.

Dopo un aperitivo in musica, il lungo pomeriggio musicale in cui protagonista assoluto è un violinista, Francesco D’Orazio, vincitore del Premio Abbiati come solista, che si è cimentato su pezzi complessi e soprattutto due prime esecuzioni assolute. Oltre a Berio (una straordinaria Sequenza VIII nel decennale della morte: un pezzo per violino con le sole note SI e LA) con cui ha collaborato a lungo, ha eseguito uno straziante pezzo scritto per la danza di Carolyn Carson, “…de la terre…” di Kaija Saariaho, anno 1991, per violino ed elettronica. Il suo violino, in questi primi due pezzi, ha reso possibile al pubblico di udire chiaramente tutto lo spettro del fiato dello strumento. In prima assoluta, Agape di Fausto Sebastiani, un pezzo soave e turgido che ha un finale quasi socchiuso come una porta, composto da solo uno schioccare di corda. Altra prima esecuzione assoluta, Voci Incroci di Gianvincenzo Cresta (1968) mette in primo piano i conturbanti bassi dell’elettronica (tutto il pomeriggio firmato Ircam/Centre Pompidou e si vede, anzi si sente!) e la grandezza del regista del suono (Sylvain Cadars) che mixa in diretta le corde di violino che battono sugli archetti e molti altri momenti della lunga esecuzione solista. Il pomeriggio intenso con D’Orazio termina con un pezzo per elettronica e violino del precedente Leone D’Oro, Pierre Boulez, Anthèmes (del 1997) che vola via velocissimo, molto più veloce dei suoi 20 minuti di durata.


Ircam uber alles pure per la chiusura della Biennale, alle Tese, dove un coro parigino (Le Cris de Paris, diretto da Geoffroy Jourdain) ha mandato in scena – il pubblico in visibilio – tre pezzi (tutti in prima esecuzione italiana e tutti di italiani, due veneti, emigrati a Parigi da oltre 20 anni per fare la loro musica). Marco Stroppa (1959) che ha studiato elettronica a Venezia ha scritto una composizione (Perché non riusciamo a vederla? Cris, appels et clameurs) il cui testo si basa su graffiti (non li ha cercati per strada, non aveva il tempo di trovare quelli analitici che poi gli sarebbero serviti per comporre, ma da un libro, Muri e Duri edito da Priuli&Verlucca) e che ha fatto suonare il coro con le dita e soprattutto li ha dislocati continuamente in scena, cosa rara per i cori. Luca Francesconi (1956) con un requiem, straziante ed inquieto, dedicato all’omicidio di Carlo Giuliani (Let me bleed) e infine, il più esilarante firmato da Mauro Lanza (1975, padovano) che fa musica e voce con ogni genere di giocattoli e attrezzi ludici (come le trombette a festone che si usano nei party) per parlare di tre anarchici che attentarono a Umberto I. In quest’ultima pièce c’entra l’elettronica di IRCAM, in questo caso firmata da Clément Marie (parlandoci alla fine, avrebbe aiutato anche le prime due composizioni ad essere meno dure con qualche suono di “prospettiva”). Ho visto il programma seduta accanto a Sylvain Cadars che mi ha anche parlato dei futuri progetti a Parigi con i compositori italiani visti in scena a Venezia (hanno fatto il requiem per Giuliani in una cattedrale e faranno un disco con Lanza).
Una fine amara, se si pensa che questi compositori avrebbero potuto restare qui e dare il loro valore aggiunto a Venezia, all’Italia. Fedele ha avuto il merito di riportare Stroppa che da oltre 25 anni non veniva invitato in Biennale. E non solo, quest’edizione mi è piaciuta molto di più della precedente, più ampia, più segmentata su giovani ed expat. Molto più contemporanea nell’accezione musicale, soprattutto, nonostante il centenario di Verdi.