Gloria. 54 Biennale di Venezia, padiglione USA

Le ossessioni dell'America vista dagli artisti di base portoricani

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Gloria. 54 Biennale di Venezia, padiglione USA

Le ossessioni dell'America vista dagli artisti di base portoricani

di Diana Marrone

allora-calzadilla-body_in_flightBenvenuti nell’era Obama, anche a Venezia. Il Padiglione Americano ai Giardini per la 54ma Biennale di Venezia è firmato dal duo Jennifer Allora (americana) e Guillermo Calzadilla (cubano) che vivono e operano a Portorico. Firmano il padiglione con l’Indianapolis Museum of Art, sono artisti e scienziati rispettivamente del 1974 e del 1971: questo straordinario padiglione mette in fila ossessioni, grandi ascese e cadute del gigante geopolitico (ancora?) del mondo occidentale con una serie di opere commissionate per questa Biennale.
Il titolo del Padiglione, Gloria, è già paradigmatico. In mostra sculture lignee e bronzee, video e performance ginniche. Allora e Calzadilla: “Ci piaceva l’idea di dare un nome femminile e in spagnolo (in Spagnolo e Italiano, la parola è la stessa, ndr) al padiglione degli USA: Gloria. Tutte le opere sono marcate da uno spirito di attività critica e di profanazione”.

Cominciamo dall’esterno del padiglione, dove è ubicata l’opera che ha catalizzato, sin dai giorni della vernice, un’inevitabile, ossessiva attenzione. Track and Field è un carro armato (vero) capovolto sui cui cingoli vi è, in equilibrio perfetto come solo l’ingerenza umanitaria riesce ad esserlo sui conflitti tanto a bassa intensità quanto perenni, un (vero) tapis roulant usato per fare jogging in casa. A intervalli regolari viene attivato da un atleta del medagliere (d’oro e d’argento) della Federazione di Ginnasti americani (che collaborano anche con tutte le performance indoor del padiglione: danza e ginnastica femminile). L’atleta, salito sul carro armato, si mette a correre dopo che i cingoli, con il loro minaccioso suono di guerra, si azionano. Imperterrito, fa i suoi 15 minuti di corsa a intensità fissa senza farsi distrarre dall’assordante clangore o dai rumori della folla.

All’interno un (vero) bancomat è travestito da organo. Algorithm è celato in un gigantesco organo a canne costruito su misura. Usandola con il proprio bancomat, sia facendo il controllo del saldo sia facendo un ritiro di contante, l’opera genera una musica udibile a vari livelli, che ricopre le melodie di un’intera sonata (variabili a seconda dell’attività che ciascun correntista effettua sul suo conto, abbiamo verificato!) e si sparge per l’intero padiglione. Ed a volte interferisce con il corpo di ginnaste che esegue le loro danze, poco più in là (le danze all’interno del padiglione sono parte della stessa opera Track and Field).

allora-calzadilla-algorithmBody in Flight (Delta), Body in Flight (American) dominano – per espressività, fattura e possenza – il padiglione anche se sono i pezzi in scala più piccola e meno “interattiva”: si tratta di riproduzioni in scala naturale, in legno dipinto, dei sedili di prima classe attualmente in uso su aerei americani. Sono parte degli “attrezzi” ginnici per le perfomance indoor, del tutto simili a quelle outdoor: fredde, atone e assolutamente vere, non solo perché compiute da veri atleti, ma perché sono inserite nell’opera per quello che sono. La forma fisica e lo sport nonostante tutto, una delle ossessioni dell’America vista dagli autori, e da mezzo mondo: schiava del successo, della gloria e dell’inevitabile coda di onnipotenza, del delirio di dominio e della pochezza degli scarti da esso, nella vita come nel lavoro.
Sarebbe facile pensare che questi siano temi ovvi o addirittura stereotipi dell’America gradassa vista da ogni latitudine. E’ l’ironia e la cultura cosmopolita, il taglio artistico e la completezza di mezzi, la puntuale alternanza critica del vero e del verosimigliante, del detto e del non detto, dell’apparenza e del confronto muscolare con cui gli artisti la traducono, a fare la sostanziosa ed imperdibile differenza.

Half Mast\Full Mast è un video a doppio canale che si dipana attorno ad un’asta (dedicato all’isola portoricana Vieques, protettorato con base USA fino al 2003): sia se essa viene letta come quella ginnica, sia come quella della bandiera (quella americana è mai esposta, se non nei colori rosso/bianco/blu di alcune texture lignee), è un’onomatopea dell’appannarsi della gloria. Questa è l’unica opera foriera di un dubbio schietto, tradotto in semplici movimenti di paesaggio e non di camera. Mai nessun artista americano, o naturalizzato, ha osato tanto per raccontare e mettere sanamente in discussione l’identità del proprio stato e la percezione che di essa si ha all’interno o all’esterno, con espliciti riferimenti ad una storia militare recente che rappresenta ancora una frattura per le relazioni tra due stati: USA e Portorico.

allora-calzadilla-track_and_fieldGloria è il padiglione che ha risposto meglio alle cinque domande poste da Bice Curiger agli artisti delle partecipazioni nazionali: pur meritando la menzione speciale il padiglione Lituano (situato fuori i Giardini, a San Francesco alle Vigne), molti commentatori, subito dopo la premiazione avvenuta il 4 giugno scorso, hanno tradito una forte delusione perché il padiglione americano meritava assolutamente un premio. Se non il Leone (andato giustamente al Padiglione della Germania il cui artista peraltro era scomparso prematuramente), perché non una menzione? Da ultimo, l’opera meno acclamata, ma secondo noi più forte.
Questo padiglione esprime meglio di altri un ritorno deciso alla scultura; trend assoluto ed inequivocabile della 54ma Biennale. Armed Freedom Lying on a Sunbed è posta nella sala sotto la cupola del padiglione, appena entrati in fondo: è una copia modificata in bronzo della Statue of Freedom, la statua che dal 1863 è sulla cupola del Parlamento degli Stati Uniti. Lunga 2 metri e mezzo, giace su un (vero) lettino abbronzante in funzione.

Chissà se Barack Obama, al pari di molti capi di Stato e ministri che hanno messo a dura prova Venezia per le loro passerelle durante i giorni della vernice, verrà a visitare, seppure in forma privata, questo padiglione nei mesi di apertura della Biennale. Ha dato prova, in diverse occasioni, di interessarsi all’arte visiva, e non soltanto quando era oggetto, inevitabile, di opere di autori più o meno noti. Anche questa visita sarebbe una rottura nelle tradizioni di questo paese. Come questo padiglione.


IMMAGINI
1 Allora & Calzadilla. Body in Flight (Delta), 2011. Photo by Andrew Bordwin
2 Allora & Calzadilla, Algorithm, 2011. Photo by Andrew Bordwin
3 Allora & Calzadilla, Track and Field, 2011. Photo by Andrew Bordwin