Il deserto dell'amore e altri uragani: i film prossimamente al cinema

una mistura pura di super concettuale e di super commerciale a Venezia 2017

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Il deserto dell'amore e altri uragani: i film prossimamente al cinema

una mistura pura di super concettuale e di super commerciale a Venezia 2017

Siete pronti per la maratona della Mostra del Cinema di Venezia? Quest’anno, siamo alla 74ma edizione, si confermano alcune delle novità introdotte nelle precedenti edizioni (soprattutto dedicate al pubblico dei non professionisti, come il riuscito ‘Cinema nel Giardino’) e si rafforza la ‘nicchia’ di mercato che la Biennale ha faticosamente individuato per arginare il monopolio di altri festival (Cannes e Toronto, su tutti) che hanno più forza sul mercato delle pellicole: la realtà virtuale.

 

Dal lato pubblico, quest’anno ci sono 21 lungometraggi in concorso (sezione Venezia 74) e 19 nella nostra sezione preferita, Orizzonti, mentre 5 al Cinema in Giardino (ma molte altre sono le sezioni del festival). Non sono pochi neanche i corti, 16 in totale, e le pellicole restaurate, circa una ventina inclusi corti e documentari. E, la realtà virtuale, che trova posto in un’isola tra le più spettacolari della Laguna abbandonata tutto l’anno (il Lazzaretto Vecchio, a poche bracciate acquee dalla Darsena), segna 31 opere di cui 22 in concorso (6 italiane).

 

Una delle recenti novità introdotte da un quinquennio a questa parte, la Sala Web, torna anche quest’anno per permettere la visione in contemporanea streaming ad un massimo di 140 spettatori online (abbonamenti di cinque film da dieci euro, visione singola 4 euro) della sezione Orizzonti e della sezione Biennale College.

 

E per il pubblico che vuole venire a Venezia?

Confermate tutte le sale di proiezione e molte scontistiche ed agevolazioni per acquistare biglietti ed abbonamenti, inclusa appunto la sala del Cinema in Giardino (nata al posto del ‘buco’ dello scandaloso Palazzo del Cinema mai finito ed ora definitivamente archiviato), assai apprezzata l’anno scorso.

Per la nuova ‘sala’ al Lazzaretto Vecchio (Venice Virtualy Reality), l’accesso sarà su prenotazione con navetta acquea, dal 29 agosto al 30 agosto preview stampa, poi dal 31 agosto al 5 settembre e la visione sarà di tre tipi: immersiva, con visore e seduti.  E’ il primo ‘concorso’ per film in VR e vi trovano posto i selezionati del College e del Venice Production Bridge, la speciale sezione di nicchia in cui Venezia tenta di fare la capofila mondiale.

Il Venice Production Bridge fornisce ai produttori la possibilità unica di incontrare molte categorie di finanziatori che partecipano alla creazione dei fondi necessari per creare un film: distributori, agenti di vendita, banche, fondi d’investimento pubblici e privati, regioni, film commission, emittenti, operatori video e piattaforme Internet.

All’interno del Bridge, opera da cinque anni anche una speciale sezione (ricordiamo che il Bridge è nato con il rinnovato Venice Film Market anno 2012). Si tratta del workshop Final Cut In Venice che tenta di dare un aiuto concreto al completamento di film provenienti dai paesi africani e dall'Iraq, dalla Giordania, dal Libano, dalla Palestina e dalla Siria; dare un'opportunità ai loro produttori e registi di presentare i film in lavorazione a operatori e distributori internazionali con lo scopo di facilitarne la post-produzione, promuovere eventuali partnership di co-produzione e l'accesso al mercato.

 

E adesso veniamo ai film. Prima di tutto un grande riguardo verso le opere prime (che concorrono al premio De Laurentis), si tratta di lungometraggi di esordienti. Ne troviamo in tutte le sezioni. Noi abbiamo un interesse particolare per: Xavier LeGrand,   Jusqu’à la garde (Francia) (Venezia 74). Ali Asgari, Napadid shodan (Disappearance) (Iran, Qatar) (Orizzonti), Cosimo Gomezi, Brutti e cattivi (Italia, Francia) (Orizzonti), Jason Raftopulos, West of Sunshine (Australia) (Orizzonti), Annika Berg, Forever 13 (Danimarca), Silvia Luzi e Luca Bellino, Il cratere (Italia) (SIC), Bertrand Mandico, Les garçons sauvages (Francia) (SIC), Valentina Pedicini, Dove cadono le ombre (Italia) (Giornate degli autori).

 

La serata di pre-apertura (martedì 29 agosto 2017) è in Sala Darsena al Lido con Rosita (1923) di Ernst Lubitsch in una nuova copia restaurata dal MoMA col supporto di The Film Foundation che viene presentata in prima mondiale con accompagnamento musicale dal vivo della Mitteleuropa Orchestra diretta da Gillian Anderson dal suo arrangiamento della partitura originale del film.

 

Il film di apertura della Mostra è Downsizing di Alexander Payne (in concorso), un ironico ‘comedy-drama’. Da non perdere in concorso anche qualche (poca) chicca non maistream come il film di Arnofsky, Mother, oppure Canto Uno di Abdellatif Kheciche e, non da ultimo, The Leisure Seeker di Paolo Virzì.

 

A chiudere le proiezioni, Outrage Coda di Takeshi Kithano, mentre ad aprire gli Orizzonti è Nico, 1988 la biopic della famosa cantante del Velvet Underground ad opera di Susanna Nicchiarelli. 

 

Nella sezione Cinema nel Giardino da non perdere un film di un’artista visiva, Ra di Martino (che ha ottenuto un finanziamento dal MIBACT per questa opera e si è scelto di presentarla in anteprima mondiale ad un festival cinematografico prima di iniziare un tour in tutti i musei italiani di arte contemporanea). E’ una delle migliori artisti per l’utilizzo di video in installazioni spesso ambientali (è stata già vista anche alla Biennale Arte di Venezia, invitata a La Zona un padiglione temporaneo ai Giardini curato da Massimiliano Gioni: era quella grande installazione di aria calda sparata da enormi ventole proprio nell’anno più caldo del mondo finora…). A Venezia di Martino porta Controfigura con Valeria Golino, Filippo Timi, Corrado Sassi, Nadia Kounda, Younes Bouab (una coproduzione Italia, Francia, Svizzera, Marocco). 

 

Nella stessa sezione esordisce una delle due serie TV che trovano posto alla Mostra del Cinema (dopo l’esordio del piccolo schermo e di Sky lo scorso anno con The Young Pope di Sorrentino). Si tratta di Suburra, targata Netflix (il colosso americano dello streaming che ha già esordito in concorso a Cannes, con lo straordinario coreano Okja, interpretato tra gli altri da Tilda Swinton che insieme a Brad Pitt lo produce).

 

Altra pellicola da non perdere nella nuova sezione, Nato a Casal Di Principe di Bruno Oliviero.

 

Il Leone d’Oro alla Carriera è, quest’anno, meritatissimo a Jane Fonda e Robert Redford. A salire sul palco a ritirarlo il 1 settembre alla Sala Grande, sarà ancora una volta…Netflix. Si proietta infatti in occasione della premiazione (e fuori concorso) il film Netflix Our Souls at Night, diretto da Ritesh Batra e interpretato da Jane Fonda e Robert Redford, prodotto da Redford e dalla sua società Wildwood Enterprises.

 

Chi premierà i film in concorso nelle varie sezioni quest’anno? La giuria di Venezia 74 è presieduta da Annette Bening e composta dalla regista e sceneggiatrice ungherese Ildikó Enyedi, dal regista, produttore e sceneggiatore messicano Michel Franco, dalle attrici Rebecca Hall, Anna Mouglalis e Jasmine Trinca, dal critico cinematografico anglo-australiano David Stratton, dal regista e sceneggiatore inglese Edgar Wright e dal regista, produttore e sceneggiatore Yonfan.

 

Quella di Orizzonti è presieduta dal regista italiano Gianni Amelio e composta dalla regista iraniana Rakhshan Banietemad, dalla regista statunitense Ami Canaan Mann, dal regista e sceneggiatore irlandese-scozzese Mark Cousins, dallo sceneggiatore e architetto argentino Andrés Duprat, dalla regista e sceneggiatrice belga Fien Troch (il suo Home, scritto con il compagno, aveva vinto Orizzonti l’anno scorso), dalla regista sceneggiatrice francese Rebecca Zlotowski.

 

La Giuria internazionale del Premio Venezia Opera Prima “Luigi De Laurentiis”- Leone del Futuro, è presieduta dal regista e sceneggiatore francese Benoit Jacquot (il suo Troi Coeurs è stato nominato al Leone d’Oro nel 2014), dal critico cinematografico e professore inglese Geoff Andrew, dal produttore hongkonghese Albert Lee, dall’attrice italiana Greta Scarano e dal regista greco Yorgos Zois (il premio Opera Prima “Luigi De Laurentiis” è pari a 100.000 USD, messi a disposizione da Filmauro, che sarà suddiviso in parti uguali tra il regista e il produttore). La Giuria internazionale della sezione Venice Virtual Reality è presieduta dal regista statunitense John Landis e composta dalla sceneggiatrice e regista francese Céline Sciamma e dall’attore e regista italiano Ricky Tognazzi. I premi: Miglior VR, Migliore Esperienza VR (per contenuto interattivo), Migliore Storia VR (per contenuto lineare).

 

Al Movie Village al Lido non ci sarà solo l’occasione per proiezioni e cocktail.

Con le rafforzate misure di sicurezza già messe in piedi la scorsa edizione, è bene ricordare che i trolley non possono essere introdotti e numerosi saranno i check point perimetrali ed interni a prevenire l’accesso con borse (vicino al bookshop è allestito un punto guardaroba): sarà bene anticiparsi anche per assistere ai numerosi incontri e presentazioni in concorso e no solo per i film.

Due i più interessanti al Market (Hotel Excelsior): il 1 settembre dalle 14.30 alle 16 torna il Book Adaptation Rights Market, dove 19 editori invitati terranno una presentazione pubblica sulla propria società, i titoli in catalogo e le novità (seguiranno anche incontri one-to-one), mentre la Commissione EU Media fa il punto sulle misure di sostegno per l’audiovisivo il 4 settembre addirittura con la neoeletta Commissaria.

 

 

Chi scorrazzerà le star in auto quest’anno? Una curiosità, non da poco: un nuovo sponsor affianca la mostra, si tratta di Lexus e delle sue auto 100% ibride.

 

Dove vedere un tramonto magnifico vista Laguna a pochi passi dal Movie Village, in un posto accessibile anche a chi non ha il pass per vivere qualche ora di atmosfera da festival non di rado incontrando registi e produttori, oltre che attori?

La risposta è unica, non solo nel senso che è una sola ma per la meraviglia del luogo e della formula. Si tratta del lungomare accanto al PalaBiennale, la Riva di Corinto, dove c’è la famosa barca a vela di Pasolini già ormeggiata nelle precedenti edizioni e sede di aperitivi informali o di incontri con gli operatori.

Come ogni anno il programma non cambia missione: è sempre dedicato all’inclusione sociale (Edipo Re è un programma organizzato da Impresa e Rete, onlus dedicata all’integrazione e coesione sociale) e viene preso a prestito dal Concorso SIAE dedicato agli autori emergenti italiani under 35 che il 1 settembre proprio lì premierà i vincitori.

 

Adesso la parola passa ai film – dalle trame alle curiosità alle nostre recensioni: seguiteci giorno per giorno da oggi e vi sveleremo quali non perdere la prossima stagione nei vostri cinema.

 

 

A Venezia trionfano dramma e rarefazione nei primi due giorni di proiezione 

Dopo l’apertura - per molti leggera con i primi due film in concorso: Downsizing (l’atteso film di Alexander Payne) e First Reformed che ha diviso i commenti tra soporifero e banale - la 74ma edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ruggisce con i secondi due in concorso che riscuotono applausi a scena aperta di svariati minuti. E non solo…
 
 
Il nostro preferito, al momento, è The Insult, opera del libanese Ziad Doueri (110’) che è stato l’uomo camera dei migliori film di Tarantino e che ha fatto in carriera quasi soltanto film ispirati dal conflitto di pace Israelo-Palestinese.
The Insult è una co-produzione anche israeliana e dell’onnipresente Canal+. E’, nei fatti, un legal drama, dove ben presto si comprende che a scontrarsi sono i destini di un paese - il Libano, dilaniato da decenni di guerra civile e dai massacri perpetrati dai sui signori della guerra. Due uomini si contendono la scena, aggredendosi e celando vecchi rancori che, si scoprirà, affondano nelle piaghe mai sanate di un paese che racchiude un incredibile numero di clan di diverse religioni e fa fronte ad una gigantesca migrazione di profughi Palestinesi dopo ognuna delle guerre che Israele, o gli stati arabi, intentano. Beninteso, potreste ignorare gli infiniti dettagli della storia politica e diplomatica del Vicino e Medio Oriente ed innamorarvi, a prima vista, della storia e della sua incredibile cinematografia che, rapace e dolce al tempo stesso, saccheggia interni ed esterni (soprattutto grandi campi dei quartieri libanesi in cui si svolge) con maestria non comune.
Con una colonna sonora originale assai indovinata (Eric Neuveux) il film attinge anche molto dal personale vissuto del regista (che dopo l'11 settembre abbandona Los Angeles e torna a vivere tra il Libano e la Francia) ed in particolare lo storytelling approfitta della competenza di sua madre, giurista.
 
 
Una seconda sorpresa (forse più scontata) viene da un altro film in concorso. Lo firma un artista visivo non nuovo alle provocazioni e di casa in Italia (il film è di Rai Cinema): Ai Weiwei con il suo Human Flow che presenta, con una carrellata di immagini straordinarie che è filmata dall’artista stesso e da altri 6, la storia delle migrazioni ed in particolare quelle contemporanee, da ogni latitudine e prospettiva possibili.
Dal campo keniota di Daadad fino alla ‘giungla’ di Calais, passando per il più grande campo profughi di tutti i tempi (la geopardizzata Palestina: Gaza e Cisgiordania): una massiccia troupe di oltre 200 persone ha creato con Weiwei questo documentario di oltre due ore. Le immagini indulgono qui e lì in un gesto manierista e da videoarte (e ricordano troppo da vicino la Qatsi trilogy di Errol Morris con musiche di Philip Glass) ma sono pregnanti per la funzione che rivestono: attraversare ogni, dico ogni, rotta migratoria esistente attualmente sul pianeta.
Il mago del film è sicuramente l’editor - Niels Pagh Andersen - che ha assemblato ogni sorta di fonti (dai droni, ai cellulari passando per sofisticate camere che hanno girato in piene tormente di sabbia oppure affogando nel fango) senza penalizzare la visione.
Tutto nasce, secondo le parole di Weiwei, dal fatto che lui stesso, da bambino, fu costretto a lasciare il suo paese (la Cina) perché la famiglia era stata bollata come anti-comunista.
Non lasciatevi intimidire dalla durata, il film scorre di pari passo alla instancabile necessità di salvezza che accompagna le moltitudini in marcia (sospinti da guerre e carestia). E soprattutto vi strapperà più di un lacerante pensiero perché le immagini straordinarie (che sarebbe assai crudele svelarvi anche solo in parte) sono puntellate da versi di poeti dei paesi attraversati (o lasciati) dai migranti.
 
 
Orizzonti è sempre stata la sezione più bella da saccheggiare e sin dalle primissime pellicole, si evince la qualità - seppur al momento molto incline al drama.
Al momento ad ipotecare un premio oppure più di uno è il francese Espèces Menacées del francese Gilles Bourdos (prodotto dai fratelli Dardenne). E’ basato su un’originale adattamento di quattro racconti di uno scrittore americano, Richard Bausch. Originale perché i racconti sono stati in qualche maniera rimontati come un’unica storia lasciando scorrere sullo schermo le vite - dilaniate, confuse, al limite del suicidio - di membri di famiglie disfunzionali, sullo sfondo il tema della violenza di genere ed una città, Nizza, che è anche la città del regista (all’attivo tre film, molto apprezzato il suo Renoir). Una nota di colore: regista ed autore dei racconti si sono amati prima ancora di conoscersi. L’americano aveva visto i film del francese e li trovava un capolavoro come esattamente quest’ultimo trovasse i suoi scritti eccelsi.
La cinematografia di questo film eccelle perché passa dalle carezze rarefatte ad architetture delabré alla luce sporca della notte fino a quella cieca e fredda che illumina scene di una violenza assoluta che in un batter d’ali si evolvono - o rivolgono - verso un’ironia tagliente e disperata. Un registro sofisticatissimo di dialoghi e tempi di recitazione (nonostante l’estrema crudezza dei temi trattati) ne fa una pellicola assolutamente non comune. I ‘maghi’ in questo film sono sicuramente due: lo sceneggiatore che ha adattato i racconti americani (Michel Spinosa) ed il direttore della fotografia (Mark Lee Ping-Bing: il taiwanese dietro le immagini tranciante de In the Mood for Love che gira solo in pellicola e solo con luce naturale).
 
 
Sorpresa, infine, per un’opera prima di un regista islandese dall’altissimo contenuto di dolore, dramma e miseria umana eppure con un filo di speranza alla fine, si tratta di Under the Tree di Hafsteinn Gunnar Sigursson. Recitato da attori di teatro che di solito fanno commedia e che si sono trovati di fronte ad un ruolo, appunto, di elevata drammaticità (nel loro paese esce il 16 settembre: scherzando, hanno affermato di temere le reazioni dei loro pubblici naturali a teatro!), il film parla di una contesa tra vicini per un albero (che fa ombra nel giardino degli altri: ‘alberi e luce sono due cose rarissime e quindi contese nel paese’, riferisce il regista) che sfocia in una tragedia inimmaginabile che fa riflettere sul fatto che anche le persone all’apparenza contenute ed educate possono trasformarsi in aguzzini o violenti.
Una piccola gemma, invece, è un corto fuori programma diretto dal presidente di giuria di Orizzonti, l’italiano Gianni Amelio che in Casa d’Altri filma Amatrice in punta di piedi intervistando abitanti e soccorritori per non spegnere la memoria su una tragedia che sembra sopirsi.

 

 

Rivelazione West at Sunshine. A Venezia è il turno di giovani protagonisti e di interi paesi in scena

 

Il cinema australiano ritorna a Venezia dopo gli ottimi esempi dello scorso anno con un film di stampo neorealista (a detta del regista, Jason Raftopoulos che si ispira ai maestri Visconti e Rossellini). 

Il suo West at Sunshine è una rivelazione: una pellicola dalla storia densa e soprattutto molto Aussie parla ad un pubblico di tutto il mondo ed esprime lo stato di buona salute dell’industria nello stato continente.

 

Un padre ed un giovanissimo figlio (nella realtà il primo è il patrigno del secondo) si incontrano e si conoscono dal profondo dopo una giornata al fulmicotone in cui il primo rischia persino di essere ucciso per debiti di gioco. Alla fine il bene trionfa e lo fa in una straordinaria e delicata manovra introspettiva che il regista costruisce, attentissimo, con una fotografia (Thom Neal) ed un montaggio inusuale (Paul Rowe) da spezzare il fiato avvolti da un solo colore dominante che è il rosso-oro del tramonto australiano. Vi è anche una particolare scena catartica, che il regista ha costruito improvvisando rispetto al programma iniziale di riprese ma svelarla sarebbe assai crudele.

 

In mezzo - e ovunque - la città di Melbourne dove il film è interamente girato. Il regista dichiara che la sua città è proprio trattata come ‘un personaggio’ e vi disvela una parte di se’ stesso mostrando i luoghi veri della sua vita. E la ottima colonna sonora originale (Tristan Meredith) è una parte nodale nel ‘raccontarsi’ della città stessa.

 

Gli applausi sono stati a scena aperta per molti minuti ed in sala ha colpito la enorme commozione del piccolo protagonista Ti Perhan che ha pianto a lungo.

Insieme al film francese di cui vi abbiamo raccontato ieri, questo lavoro seriamente ipoteca un premio. Persino Ti potrebbe vincere un premio come migliore attore. 

 

Nonostante gli applausi convinti a fine proiezione (meno intensi di quelli dedicati a West at Sunshine), convince meno un altro titolo di Orizzonti, l’argentino Invisible di Pablo Giorelli - la storia di una adolescente in un contesto difficile che matura una decisione inaspettata rispetto alla sua precoce gravidanza. Anche qui lo sfondo è soprattutto un luogo, un paese, una cultura (l’Argentina) sull’orlo della crisi del sovraindebitamento ma la resa, sebbene di stampo crudo e neorealista come il precedente, risulta statica e piatta ed emoziona sicuramente meno, soprattutto per le scelte stilistiche (fotografia, colonna sonora).

 

Altro giovanissimo protagonista ed altro ‘paese’ che pesa sullo sfondo in una pellicola totalmente differente, che è in concorso a Venezia 74: Lean on Pete. Non è una sceneggiatura originale come West at Sunshie ma anche qui, come abbiamo visto per Espèces Menacés, un ottimo adattamento di un’opera letteraria. Il film, acclamato con lunghi applausi alla prima proiezione stampa di ieri, oggi sarà visibile anche al pubblico come i primi due che abbiamo scelto di raccontare. Andrew Haigh il regista inglese che lo firma (ha lavorato spesso e forse unicamente su temi sociali inclusa la gender inequality), voleva raccontare in maniera struggente non solo la storia ma anche la nazione che l’aveva vista sbocciare, quell’America di mezzo che combatte tra desolazione, solitudine ed innegabile bellezza dei luoghi. 

La scelta stilistica delle immagini (grandi piani verticali od orizzontali) potenzia il plot che è davvero strappalacrime: la storia di un giovanissimo adolescente che si trova a dover affrontare un grave lutto (la perdita del suo unico genitore) e poi quella di un cavallo a cui si era inspiegabilmente legato (il titolo del film è il nome del cavallo) ed in mezzo affronta un road movie da brividi per cercare l’unica persona che forse poteva dargli un po’ di stabilità. Sussurrando al nulla che lo circonda. E rifiutandosi di accettare che è un homeless.

 

3 Manifesti ad Ebbing...e la nuova vague americana

Le profonde contraddizioni dell’America contemporanea tengono banco ancora al giro di boa della prima settimana di festival. Non è tanto il messaggio di Suburbicon a fare breccia in questo senso – l’ottima sceneggiatura datata e ripescata dei fratelli Cohen non buca lo schermo, sembrano farlo più le parole di promozione di Clooney, il regista, alla conferenza stampa.
Sono altri i titoli, infinitamente più politici anche senza volerlo, a fare la differenza. Iniziamo con un altro documentario in concorso. Si tratta di un film fatto da un solo uomo (che lo gira, lo monta, lo produce e lo musica). E’ Friederick Wieseman, a cui 4 anni fa il Festival ha dato un Leone d’Oro alla Carriera. Classe 1930, porta in concorso quest’anno Ex Libris, un documentario di 197’ dedicato interamente alla Libreria di New York. A cosa avviene nelle sue sedi, negli uffici, nei meandri dei magazzini e nelle riunioni di board di donors. Una radiografia orizzontale in cui tutti sono sullo stesso piano – da Patty Smith a un architetto dei Mecanoo fino all’homeless che legge insaziabile nelle sale finto-barocche di Manhattan e dove il documentarista entra in punta di piedi senza fare neanche una domanda ma filmando e basta.
Se la durata è un problema? No, non lo è stata in Sala Grande con il pubblico che ha applaudito a lungo e non ha abbandonato la proiezione. E non lo è in generale perché il viaggio che il regista offre rende su un piano politico molto più di mille Suburbicon per descrivere le frizioni nell’America di oggi e come si costruisce una comunità coesa.
Ancora una volta una rivelazione viene da oltreoceano. Beninteso, gli italiani non hanno sfigurato (Virzì ipoteca più di un premio con il suo The Leasure Seeker, grande film ‘americano’ con Sutherland e Mirren basato su un libro verità straordinario) ma a colpire come un boomerang è un film dal titolo nomoteta: Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri. E’ firmato da un dramatist e regista inglese, tra i più acclamati attualmente, Martin McDonagh. E recitato dalla musa (e moglie di uno dei) Fratelli Cohen, Frances McDormand. Un brutale assassino non è scoperto e una madre cerca di scuotere le coscienze affiggendo una pubblicità su tre impianti non lontano dalla sua casa e da dove è accaduto il fatto di sangue che le ha sottratto barbaramente la figlia. In mezzo tutte, ma proprio tutte, le turpi contraddizioni di un paese che si trova oggi impotente ad affrontare una crisi democratic senza precedenti a causa della divisava presidenza Trump. Questo film passa dal registri più drammatico a quello più comico in briciole di secondi e la costruzione dei dialoghi è straordinaria. Nulla di più imperdibile. In attesa di Aronofsky e del suo Mother!
 

 

mother! e altri 'cicloni'

 

Non credete a chi vi dice che è un horror (e quindi non credete neanche ...alla sua locandina). mother! l’ultima fatica del regista cult di The Wrestler, PI Greco e Requiem for a Dream (Darren Aronofsky) torna a a Venezia con un’elegia del dubbio, con una grande allegoria dalle immagini e dalla musica straordinarie. Grandi anche gli interpreti: la sua nuova musa (e compagna) Jennifer Lawrence, un tostissimo Javier Bardem e una enigmatica Michelle Pfiffer. Il film, si vocifera, uscirà presto anche in Italia ma sarà come di consueto un peccato vederlo doppiato.
 
La storia si svolge tutta in una casa e raffigura mirabilmente il deserto dell’amore quando uno dei due della coppia è un creatore (un poeta, in questo caso) e ‘divora’ l’altro.
 
Il mistero (‘la musica in questo film è fatta per questo’ dice il regista: non ti accompagna verso l’emozione ma ti lascia libero di provare quella che vuoi), l’essere madre ma soprattutto una grande allegoria della natura violata sono i significati veri del film. I want to unfold human history, dice appassionato Aronofsky.
 
Titolo di lavoro molto biblico, Day 6, mother! è ‘sgorgato’ da Aronofsky in soli 5 giorni mentre, ci racconta, per altri film ci sono voluti 12 anni (The Wrestler), 6 (Pi Greco) e via così...Il film è prima di tutto un monito per come stiamo distruggendo il pianeta ed è ispirato da poesie femministe che ha appreso grazie ad una donna aborigena, Princess, incontrata 20 anni prima al Sundance. Insomma un film che si è costruito piano dentro di lui ed è arrivato quando ha incontrato il momento adatto.
 
Riguardo all’America, il regista è assai pessimista e lo è per il mondo intero (infatti mother! non ha alcuna speranza, neanche alla fine: è un ciclo che ricomincia identico a se’ stesso). Tuttavia aggiunge: ‘lo ululerei alla luna piena (la première del film, accolta sia con tanti applausi che con tanti buuu, è avvenuta il giorno di plenilunio): l’America è schizofrenica ma almeno abbiamo rivelato chi è il nemico da battere’. Accenno neanche tanto velato a Trump. E, conclude (prima di un assalto dei fan in conferenza stampa il cui video è finito sui siti di tutto il mondo per quanto ridicolo fosse in rapporto alla trama del film, che non vogliamo come di consueto svelarvi fino alla fine che sarebbe un peccato doppio in questo caso): mother! è un ottovolante, preparatevi a correrlo da cima a fondo.
 
Xavier Legrand (l’unico altro nome che potrebbe ipotecare un premio) firma l'ultimo film in concorso, Jusq'a la garde: finalmente un affresco realistico - e per nulla scontato - della delicatissima fase dell'affido congiunto dei figli in caso di divorzio. Questo film - dall'impeccabile sceneggiatura originale firmata dallo stesso regista - ha il dono di analizzare sottilmente il risvolto psicologico della violenza, tra figli e genitori e tra coniugi in separazione. E porta sullo schermo un altro attore giovanissimo degno di nota (Thomas Gioirie).
L'ultimo film in concorso, firmato dall'italiano Andrea Paoro (Hannah, con Charlotte Rampling), delude per la sua lentezza. 
 
 
Nutrita la pattuglia di film 'minori' e non che stiamo vedendo succedersi in questa incredibile Orizzonti, oltre che in Venezia 74 e sia Fuori Concorso che nelle proiezioni della critica. Divide Ammore e Malavita ed invece conquista senza se e senza ma Emma (Il colore Nascosto delle Cose) di Soldini con una straordinaria Valeria Golino (oggi nelle sale di tutta Italia). E’ una storia d’amore tra una cieca e un vedente (Adriano Giannini) che scopre cosa voglia dire andare sotto l’apparenza e dimenticare le fughe da tutto - donne, famiglia, realtà grazie ad un nuovo modo di ‘guardare’ le cose.
 
La non-fiction continua a tenere banco qui e lì, soprattutto ad Orizzonti, tra tutti grazie a un film cinese piaciuto a molti (una storia vera di uno stupro di due minorenni da parte di un preside di scuola, restato impunito in Cina grazie a leggi bizantine) portato, non con fatica, sullo schermo (Angel Wears White di Vivian Qu).
 
Golino recita anche in un altro film, con un cast interessante che raccoglie sia professionisti come Filippo Timi ed altri attori non protagonisti. Si tratta di Controfigura esordio al cinema di un’artista visiva (Ra di Martino). Eravamo molto curiosi di questa pellicola, che è un remake di un film famoso (The Swimmer). Ci ha abbastanza deluso (il film sarà proiettato in tutti i musei italiani perché è recipiente di un premio in denaro del Ministero della Cultura, forse andrà anche nei cinema e di sicuro al prossimo Festival della Filosofia). Presenti molti collezionisti di stanza a Marrakesh (dove la pellicola si svolge), come il napoletano Rocco Orlacchio: il film è realizzato anche con il sostegno di AMACI.
 
Tra le chicche italiane, delude moltissimo l’Equilibrio di Marra e conquista (scroscianti gli applausi a fine film) la proiezione di Veleno di Diego Olivares (coprodotto anche da Oliver Valentino). Il film è liberamente ispirato ad una storia di cronaca (la Terra dei Fuochi, i casi di cancro ed una storia familiare di persone vessate dalla camorra) ed è 'messo in musica' da Marco Messina e Sacha Ricci (99 Posse). Nelle sale dal 14 settembre, arriva da ultimo (altri film, tra cui un episodio del fortunato Gomorra, il film) a parlare del perverso rapporto tra camorra e sversamento illegale di rifiuti tossici nell'Agro Casertano. Ma lo fa in maniera totalmente differente dagli altri titoli sia di fiction che di non-fiction. La fotografia è una vera elegia dell'amore: quello verso la propria terra (rappresentata quasi come un Eden e non come l'orrore, fonte di un diluvio di casi di tumore fuori da ogni media nazionale) e verso il proprio partner. Nella nutrita squadra di registi campani a questo film festival veneziano fuori concorso abbiamo anche la De Lillo con uno straordinario titolo tra fiaba e realtà ed infine Gatta Cenerentola che si aggiudica il premio del sindacato della critica per il linguaggio innovativo delle illustrazioni di Alessandro Rak.
 
 
Sul versante serie TV, ancora una volta Netflix based, sta spopolando tra gli addetti ai lavori e tra il pubblico l’ottima Wormwood. Firmata Errol Morris, è una storia che riporta alla luce i findings del famoso rapporto Rockefeller che svelarono le malefatte della CIA, in particolare la somministrazione di LSD a membri del suo staff inconsapevoli di starlo assumendo. La serie è straordinaria ed ambientata all’epoca dei fatti, con una ricostruzione minuziosa di arredi, costumi ed atmosfere ed un certosino ed implacabile lavoro di ricostruzione di fonti e di accadimenti. Parliamo degli anni della più grande crisi americana, coronata dalle dimissioni di un presidente (Nixon) che nessuno rimpiange come nessuno rimpiangerebbe, oggi, Trump. Da non perdere (su Netflix dal 5 ottobre).
 
 
 
Legrand sbanca a Venezia (e avevamo ragione...). ‘Il perché di tutto sommato’ - i Premi alla Mostra del Cinema di Venezia

Avevamo ragione: l’esordiente ex attore e regista francese Xavier Legrand ha vinto due premi, quello molto ambito in denaro (Premio Luigi de Laurentis Opera Prima, 50.000 dollari a regista e altrettanti al produttore) ed il Leone d’Argento: mai premio più meritato di questo. 

Ci si aspettava, anzi, di più anche per altri film, come Three Billboards che ha vinto quello per la migliore sceneggiatura originale, autore anche il regista del film Martin McDonagh, e The Insult che, meglio di niente, porta a casa almeno la coppa come migliore attore maschile con Kamel el Basha, il capocantiere palestinese co-protagonista del legal drama con il meccanico cristiano che lo attacca per questioni politiche più che di vicinato. 

 

La presidente di Giuria, l’attrice Annette Bening, ha introdotto questa specialissima annata di Venezia dicendo che la Giuria aveva particolarmente notato (e voluto premiare) l’eccezionale qualità nella scrittura dei film. In particolare questi due premiati (ma anche molti altri nella sezione Orizzonti, compresi quelli non premiati), si distinguono per un approccio nuovo non solo alla sceneggiatura ma anche al trattamento. 

 

Il film di Legrand, per esempio, coltiva una incredibile tensione facendola crescere nelle piccole cose e nello strenuo attaccamento ad una posizione equilibrata nel rappresentare quello che equilibrato non sarà mai cioè le ‘ragioni’ della violenza da ambo le parti in un caso di divorzio. 

 

Non si basa su un fatto reale: è fiction. Ma potrebbe essere una storia di tutti i giorni. Si tratta, ha spiegato il regista in una intervista esclusiva a Variety che del pari aveva intuito la enorme potenzialità di questa pellicola: ‘di ingrandire il perimetro di un soggetto per il quale ho tanto lavorato, la violenza domestica, che è stato cardine anche nel mio primo lavoro, un cortometraggio (che gli è valso un Cesar).’ Il film sarà in competizione anche a Toronto e ha già trovato una distribuzione ancora prima di aver vinto a Venezia. 

 

Un discorso a parte merita il Leone d’Oro attribuito a The Shape of Water del messicano Guillermo del Toro che dosa facilmente condimenti mainstream (amore, sesso, favole come quella facile facile de La Bella e la Bestia, poi una sceneggiatura alla Anderson e tanto splatter quanto basta) per fare un filmone da facile presa. Stupisce un po’ che a Foxtrot di Samuel Moatz sia andato il premio speciale per la Giuria. Erano in molti a voler attribuire più premi a Three Billboards e noi personalmente, soprattutto, qualcuno al contestatissimo mother!. Ma la Giuria ha voluto premiare la commedia disimpegnata, un genere invero poco presente in questa selezione ufficiale.

 

La Giuria premia una eccezionale annata per quanto riguarda gli interpreti ‘teenager’, che ha visto la loro grande qualità nella recitazione in molti film in concorso sia a Orizzonti che a Venezia 74 dove in quest’ultima la coppa Mastroianni come migliore giovane interprete è andata al protagonista di Lean on Pete, Charlie Plummer (in gamba anche Thomas Gioira, del film di Legrand, in verità). E non dimentica i western, con un premio speciale della giuria all’australiano Sweet Country di Warwick Thornton.

  

Il verdetto di Orizzonti ha sorpreso molti e forse sarà destinato ancora a farsi sentire. Vince Nico il biopic sugli ultimi anni di vita della cantante dei Velvet Underground mentre l’iraniano Bedoune Tarikh, Bedoune Emza No Date No Signature fa man bassa di premi ‘pesanti’ (meritatissimo quello di miglior attore per Navid Mohammadzadeh, meno quello di migliore regia a Vahid Jalilvand dato l’interesse maggiore rivestito da alcune altre pellicole). Tutti d’accordo a premiare Alireza Khatami (regista e sceneggiatore) con il premio Orizzonti per la migliore sceneggiatura per Los versos del olvido. 

 

Sarà difficile che la prossima mostra del cinema di Venezia (in programma dal 29 agosto 2018) possa battere…se stessa sulla qualità dei film in concorso e non.