Una biennale in sordina? Sei mesi con noi a Reporting from the Front

mostre, conferenze, per la prima volta anche le arti applicate. Meno eventi, più partner

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22-05-2016
categorie: Design, Architettura, Arte, Slow Words, Libri,

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Una biennale in sordina? Sei mesi con noi a Reporting from the Front

mostre, conferenze, per la prima volta anche le arti applicate. Meno eventi, più partner

E’ da un po’ che vi parliamo della particolarità di questa Biennale di Architettura 2006, n. 15 – che pare in sordina a poche ore dall’apertura al pubblico (28 maggio, termina il 27 novembre).


Lo abbiamo fatto, forse, nel modo migliore. Prima intervistando il direttore, l’architetto cileno Alejandro Aravena, che ci racconta in dettaglio dove va (e cosa non vuol dire) il suo assunto curatoriale. E poi accennandovi di altri protagonisti, curatori e commissari.

 

Vi abbiamo anche fatto anche incontrare nelle nostre pagine Leila el-Wakil, storica dell’architettura e docente di Ginevra di origini egiziani, che cura un’edizione particolarmente vivace di Salon Suisse (evento collaterale della cultura svizzera a Venezia, che si svolge in forma di conferenze e dibattiti in un bel palazzo di Dorsoduro, il Consolato Svizzero). Quest’anno per chi non viene a Venezia, diretta streaming in collaborazione con una rivista di architettura svizzera. Ad aprire le ‘danze’ il 27 maggio il tema dell’architettura vernacolare, ma vi conviene mettere in agenda l’intero programma che accompagna (sia nel salone veneziano sia online) fino al termine della Biennale un fine settimana al mese.

 

Ora vi raccontiamo, in dettaglio, cosa non perdere e cosa soprattutto studiare, prima della visita. Cominciamo dalle partecipazioni nazionali (meno dell’anno scorso, 64, con 5 paesi presenti per la prima volta: Filippine, Kazakistan, Nigeria, Seychelles e Yemen, quest’ultimo da tenere d’occhio considerando lo stato di guerra nel paese). E dai Giardini.

 

Pronostico magari azzardato e quanto meno improbabile dati i regolamenti (ma non si sa mai. A proposito, la giuria di quest’anno è composta da Pippo Ciorra, Sergio Fajardo, Marisa Moreira Salles, Hashim Sarkis, Karen Stein). Un ex-aequo Stati Uniti/Germania per idea curatoriale e design - anche se in realtà la proposta di set design tedesca difficilmente andrà superata…

Gli USA chiamano studi di architettura molto diversi come imprinting a cimentarsi sul ripensamento di Detroit (il titolo della mostra è già un programma, The Architectural Imagination ). Le curatrici Cynthia Davidson e Mónica Ponce de León – che intervisteremo sulla loro storia personale e professionale – hanno chiesto altrettante speculazioni sulla motor city a dodici studi americani: A(n) Office, BairBalliet, Greg Lynn FORM, Mack Scogin Merrill Elam Architects, Marshall Brown Projects, MOS, Pita & Bloom, Present Future, Preston Scott Cohen Inc., SAA/Stan Allen Architect, T+E+A+M, Zago Architecture che saranno variamente protagonisti di dibattiti nel padiglione durante la mostra, nei mesi autunnali.

 

Reporting from the Front ha la sua incarnazione migliore in Making Heimat la proposta del padiglione tedesco, sviluppato dal Deutsches Architekturmuseum (DAM) di Francoforte diretto da Peter Cachola Schmal. Si tratta – e vi sconvolgerà – di ripensare totalmente l’architettura del padiglione che come ricorderete in Fundamentals aveva ospitato un iconico appartamento governativo. Stavolta il padiglione sarà…vuoto e sventrato! Solo alcuni mattoni faranno da panca (che nasconde devices per ricaricare i telefoni) e porte e finestre sono state totalmente demolite ed i vani allargati. Insomma, il padiglione tedesco sarà sempre aperto, giorno e notte: un fortino sventrato ed indifendibile. Non sarà vuoto però: a parte poster attaccati alle pareti, ospita un database, che è già ampiamente consultabile online. Raccoglie progetti di housing per migranti e rifugiati, che possono essere selezionati a seconda del grado di completamento, del tipo di struttura, del budget e di altri interessanti parametri. Invece di dare 3 miliardi di Euro alla Turchia che comprendono anche disegnare housing a seconda delle necessità operative del momento, bisognerebbe dirgli che c’è qualcuno che non solo l’ha già fatto (dal 2010) ma che ha trovato anche tempo, risorse e professionalità per farlo diventare un progetto per l’umanità.


Conferenze e dibattiti, presentazione di ricerche e di pubblicazioni si susseguono senza sosta soprattutto nei giorni di opening: vi suggeriamo di non perdere Whose Side Are You On?

organizzata da Archis al Padiglione Olandese, insieme ad un breakfast, il 27 maggio alle 10 – il ruolo dell’architettura nelle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. La colazione ed il dibattito in realtà sono utili alla presentazione di Volume #48: The Research Turn che contiene come inserto anche il catalogo della mostra olandese BLUE: Architecture of UN Peacekeeping Missions.


Certamente anche la Biennale organizza quest’anno (dopo il rebranding operato dal Koolhas) i Meeting on Architecture, di cui Rolex è particolarmente fiero tanto da sponsorizzarli pure per quest’edizione. Una volta al mese in date variabili (tranne luglio) i Meeting ricalcano le ‘Battles words’ che Aravena ha riassunto in un disegno che trovate tra le immagini di questo post. I Meetings on Architecture saranno affiancati da una serie di appuntamenti legati ai Progetti Speciali della Biennale, in particolare a quello della London School of Economics and Political Science curato da Ricky Burdett e al Progetto Speciale di Forte Marghera. Che ci sembrano i più rilevanti dell’intero programma. Il primo è un seminario internazionale di Urban Age dal titolo Shaping Cities: Conflicts Of An Urban Age, fissato per il 14 e 15 luglio a partire dalle 10.30 al Teatro alle Tese Arsenale.

 

Se al momento in cui scriviamo non è ancora chiaro cosa succederà a Forte Marghera a parte una mostra (la Biennale si occupa della riqualificazione di un nuovo spazio acquisito al forte), è invece già noto (e molto interessante) un altro evento da segnarsi in agenda: Sustainable Design Event, organizzato da LafargeHolcim Foundation for Sustainable Construction: si terrà il 25 novembre al Teatro Piccolo Arsenale alle ore 17.


All’Arsenale e ai Giardini la mostra internazionale curata da Aravena include 88 partecipanti da una ventina di paesi: 50 presenti per la prima volta in una biennale veneziana e 33 sotto i 40.

 

Quest’anno la tradizionale Biennale Sessions (accordi con università del mondo per programmi personalizzati di visita di studenti e docenti, oltre 80) si affianca alla prima Summer School della Biennale (parte di Biennale College) realizzata con il Victoria and Albert Museum e l’Università di Vienna di Arti Applicate dal 9 al 17 luglio (costo 1600 euro, massimo 35 partecipanti). E l’Arsenale ospita una mostra incredibile del V&A sulle arti applicate, fiore all’occhiello di questa edizione.

Non ci resta che accennarvi dei 19 eventi collaterali. Quest’anno non è solo il numero a diminuire ma la qualità, ed in maniera rilevante. Vale sicuramente la pena non perdere, ancora una volta, una proposta svizzera (che viene dal Politecnico di Losanna) che indaga la metropoli orizzontale. Quale posto migliore per questa mostra (e per le varie conferenze previste nel programma) che l’Isola della Certosa?

Due mostre, piccole e delicate, di segno opposto e al di fuori degli eventi ufficiali. Una di pittura molto originale - alla maniera di Schifano (ma anche un controcanto di Rotella) – autrice una giovane artista (e membra di un collettivo di designer torinesi, Nucleo). Si tratta di Show on Show e lei è Stefania Fersini, ospitata in un palazzo molto delabrè vicino a Santa Maria Del Giglio. Organizza, ancora una volta, POOL NYC, una vivace galleria capitanata da Viola Romoli che vi abbiamo presentato in una divertente intervista qualche mese fa.

L’altra è in una piccola galleria d’arte e di design, Marignana (vicinissima alla Salute, alla Fondazione Vedova, quindi nel pieno del museum mile di Dorsoduro). Fino al 10 settembre, Marcello Morandini – architetto, artista, designer – mostra immagini, oggetti tridimensionali e tableware unici.

 

Last but not least, totalmente al di fuori degli eventi della Biennale ma dirompente come sempre, Fondazione Prada a Ca’ Corner della Regina inaugura il 26 maggio Belligerent Eyes. Fino all’11 settembre (e particolarmente dedicato alla Mostra del Cinema) è una piattaforma, più che una mostra, attorno alla produzione di immagini contemporanee – cinema e cultura visiva sono da sempre i linguaggi preferiti di Miuccia Prada. Questa e molte precedenti mostre seminali in questo solco, non sono curate da Germano Celant.


Rimanete sintonizzati con noi, ci occuperemo di riaggiornarvi con impressioni, commenti, interviste ed immagini (sui social e sul sito dell’agenzia) dalle mostre più interessanti che abbiamo scoperto (se volete aggiornamenti in anteprima – e talvolta esclusivi – sottoscrivete la nostra newsletter gratuita mandandoci una mail).

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Una recensione del 28 Maggio - largamente positiva (anche se non abbiamo pronosticato correttamente i Leoni, continuano a piacerci più di tutti quei padiglioni...)

 

Visitare questa biennale di architettura è un’esperienza diversa da qualsiasi altro festival del genere - ed ovviamente molto diversa dalle altre edizioni che l’hanno preceduta. In totale contro-tendenza.


Se siete architetti, per dirla con Aravena (che non ha privilegiato solo approcci latinoamericani, terzomondisti e simili,  ed ha accettato anche proposte da studi che non ha invitato lui per primo), questa edizione forse vi aiuterà a riempire una pagina bianca, se avete una ‘stanca’ di creatività. Con idee, posizioni e valutazioni che forse prima non avevate mai fatto e che vi inducono a pensare a importanti preposizioni per il lavoro del progettista, quali: contesto, storia, materiali, prospettive di durabilità in senso sociale e collettivo.

Se siete curiosi, viaggiatori ed in generale persone non collegata al mondo del progetto che amano però ascoltare pareri diversi, siete nel posto giusto. E questa Biennale vi servirà ad allargare molti orizzonti, a decidere quali paesi visitare o rivisitare (e perché), a incontrare comunità e territori inaspettati.

 

Se siete decisori pubblici, dovreste portarci tutti quei colleghi che non l’hanno ancora visitata oppure organizzare un incontro con loro nei vostri uffici mostrando foto e progetti che potreste fare propri (se sarete abbastanza coraggiosi ed onesti).

All’Arsenale – così come ai Giardini – la sezione internazionale inizia con uno statement che ricorda la progettualità del collettivo rotor (gli architetti belgi sono stranamente assenti da questa biennale). Un grande ovale costruito con le sezioni di cartongesso della precedente Biennale, oltre 10.000 metri cubi di scarti di Enzewor, fa posto a piccoli schermi che rimandano a conversazioni, email e sketch. E’ il ‘making of’ della Biennale. Aravena inizia a raccontare il suo pensiero e che tipo di biennale ha costruito. Poi la vedete: subito. Organizzata in macro-aree che si permeano a vicenda, parla delle sfide dell’architettura contemporanea ad ogni latitudine e sicuramente tra di esse quelle rappresentate dalle grandi migrazioni (per le guerre, le carestie o la povertà in generale: interne, transnazionali, temporanee) fanno da padrone sia per progetti grandi sia per scale più praticabili. Egualmente importante l’inclusione sociale, un utilizzo consapevole dei materiali ed il lavoro per e con le comunità – i veri e primi clienti di questo modo di fare architettura responsabile (e sostenibile).


Iniziando proprio dal lavoro con e per le comunità, due sono i progetti da non perdere (che rappresentano anche un modo di viaggiare diverso). Uno è di Assemble (Regno Unito) che presenta un piccolo cinema con i lavori svolti per comunità resistenti, ad esempio gli abitanti del bellissimo e dannato (dalla speculazione) quartiere di Toxteth.


Ancora più avvincente – anche per un video design infinitamente più curato degli altri, provvisto addirittura di timeline o clessidra per i visitatori più frettolosi – quello racchiuso in un cinema molto speciale, 25 anni di lavoro per la stessa comunità dell’America di mezzo (Alabama) e un anno di lavoro per i senza tetto di Venezia. Parlo di Rural Studio. Il loro cinema è costruito da reti, assi di legno e piccoli armadi che diventeranno arredi per le casette occupate da un movimento di senzatetto locale che ha dato inizio all’idea della loro mostra veneziana (un movimento che occupa case vuote e abbandonate). Oltre a vedere cosa e quali progetti creano in America, hanno deciso di dedicare mezzi e forze nella loro partecipazione veneziana a un progetto reale, insieme anche al Centro Sociale Rivolta e la cooperativa Garacol.

La luce (crepuscolare) e lo sconfinamento - e più in generale il valore da dare al paesaggio: la bellezza deve essere fruibile da tutti ed in maniera democratica ed uguale! – sono molto presenti in questa biennale. A proposito della prima, un’installazione magistrale (ottenuta con luci alogene Sharpy che traforano un soffitto oscurato dell’arsenale) è Transsolar, all’Arsenale, tecnologia al servizio del buonsenso!

Hugon Kovalski invece parla della spazzatura, non solo delle discariche ed il business milionario ad esso relativo (spesso abusivo od ‘informale’): preparatevi ad un viaggio inaspettato nel suo container. La poetica di Alexander Brodsky s’incastra nel paesaggio lagunare, quello delle Gaggiandre, e vi invita a giocare a scacchi col tempo, la necessità, la prospettiva e la scarsità in architettura. La sua installazione è un capanno muto con scacchiera. Scoprirete di più standogli vicini, non vogliamo svelarvelo.

Viaggiare è possibile in molti modi – in e grazie a questa Biennale. Innanzitutto viaggiare con la poesia, la musica e la letteratura. E’ quanto accade, molto diversamente, in due padiglioni. Albania (Arsenale) e Belgio (Giardini). Nel primo l’oggetto è un vinile ed un booklet di racconti (da ascoltare, rapiti, su evanescenti e leggerissime sedie in polistirolo e resina rosa disegnate e costruite da Max Lamb) che celebra la cultura materiale (canti di popoli e musiche) come heritage da proteggere con l’Unesco. Nel secondo è un concetto, la bravura e la vecchia maestria da esercitare nella scarsità, declinato con testi, video e aste di arredi (in particolare uno sgabello, Kruk, disegnato da doorzon interieurarchitecten a partire dal tubo e da spugna. Ben sei cercano casa).

E’ il Padiglione Austriaco (Place for People, Giardini) a destinare maggiore attenzione sul design temporaneo per comunità di migranti: dalle isole fatte di tende dove ubicare camere da letto dotate di un minimo di privacy, al design ’da campo’ con un manuale open source che raccoglie progetti di facilissima realizzazione per arredi minimali od utensili dall’alto potenziale comunicativo.

Ancora sul luogo topico come spazio di crescita comune, l’Australia dedica la mostra ad una tipologia costruttiva specifica – la piscina (è il paese con il maggiore numero di piscine pro-capite nel mondo: 1,2 milioni, con un aumento annuo di 30.000 nuove unità). Luogo di comunità per eccellenza (e luogo di molte battaglie di residenti quando spesso sono state abbattute per far posto ad altre architetture) rappresentano anche il delicato rapporto degli Australiani con la loro storia coloniale e con la scarsità d’acqua. La mostra si compone di una piscina molto bassa (adatta a bambini: è stata affollatissima nei giorni di opening) che occupa quasi tutto il padiglione, delle sedie fabbricate da una design company aborigena su design di un progettista australiano. Ed un’installazione audio, che riprende i testi raccolti in una pubblicazione da leggere e conservare, dalle straordinarie immagini fotografiche che spesso raccontano anche di piscine artesiane, piscine sulle rocce oppure sono tratte da opere di artisti e pittori sul tema dell’acqua (The Pool, ISBN 9 780646 949659).

Per gli appassionati di grandi registi (o prime mondiali) sul tema del progetto, il Giardino delle Tese alle Vergini è il ‘cinema’ incorporato in questa biennale. E’ parte della sezione curata da Aravena ma è anche uno spazio pubblico aperto tutti i giorni, gratuitamente, dalle 10 alle 18: è una recente conquista dei cittadini del sestiere Castello che si sono battuti perché quel meraviglioso angolo di verde annesso alla Biennale diventasse di nuovo pubblico. Non vi occorre biglietto, quindi, per vedere a qualsiasi ora del giorno i film di Amos Gitai su Herzog&DeMeuron, per vedere Workplace e tutte le altre opere in video ospitate nel giardino disegnato, tra gli altri, da Piet Oudolf dove trovare anche deliziosi cespugli commestibili di ortica bianca e rossa. E dove trovare WarkaWater, una struttura a forma di torre disegnata dallo studio italiano Architecture&Vision che crea acqua (potabile) a partire dalla condensa dell’atmosfera, dalla nebbia e dall’acqua piovana.

Che sia una biennale diversa lo si è visto anche e soprattutto dall’improvviso apparire, a poche ore dall’opening, di uno shelter costruito per l’homeless che di solito vive sulla soglia del Teatro Piccolo dell’Arsenale. Su ruote, è una piccola casa con lato cieco su strada e porta di ingresso aperta sul lato interno. ‘Una casa per te’, in incerto italiano, appariva sul frontespizio del pvc riciclato da precedenti pannelli della Biennale: peccato che l’homeless sia, a quanto pare, olandese e che di solito sia quasi muto. Ho incrociato i suoi occhi una sera, rincasando, e finalmente – come non mi era mai capitato di vederlo – ha risposto al mio sorriso quando indicavo la sua nuova casa.

 
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