Venezia, i tappeti ed il vetro

Due grandi mostre, nello stesso giorno, a Palazzo Grassi e a Le Stanze del Vetro

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Venezia, i tappeti ed il vetro

Due grandi mostre, nello stesso giorno, a Palazzo Grassi e a Le Stanze del Vetro

Aprile, a Venezia, si schiude su una terra di saperi, che fu e che è porta europea verso l’Oriente, che fu - e che non è più - luogo di fucine di vetro, arazzi e tappeti su tutti.

Aprile torna al cuore della civiltà della Serenissima e lo fa con due approcci assolutamente diversi ma entrambi efficaci e in grado di dire quanto la capitale veneta sia, in mancanza di fucine, l’unico vero polo culturale italiano (per merito di mecenati che qui non hanno mai interrotto la catena del valore da più di 500 anni).

Aprile 2013 si apre con una mostra memorabile a Palazzo Grassi, che apre oggi e che chiude il 31 dicembre. Rudolf Stingel, artista e curatore ha carte blanche da Francois Pinault, che lo ha sempre considerato l’artista di punta della sua collezione, e ricopre ogni centimetro di pareti e pavimenti (soffitti lignei e affrescati esclusi) di tappeti dalla calda tonalità rosso-scuro e dalla trama orientale (immane produzione, la moquette è stampata dalla Halbmond GMbH: si tratta di stampa da digitale, che riproduce anche i punti del tappeto classicamente erosi dal calpestio).

Adagiati sopra i tappeti, ai muri, appaiono una serie di dipinti di ogni dimensione che mischiano chiaroscuri e neri: la sottile e decisa trama nascosta tra le pieghe dei ritratti e in un caso di un bassorilievo – santi, madonne, bambini, un Franz West extralarge, fino a grandi o piccole tele astratte – è quella di tappeti, pizzi, arazzi. Un continuum spaziale, stilistico e concettuale che lascia senza fiato, mentre si vaga nella generosa superficie del palazzo senza sentire il rumore dei propri passi, oltre 5000 metri, a scoprire visioni piccole e nascoste (34 dipinti) che provengono per la maggior parte dalla collezione dell’artista o di Pinault, e in minoranza dalle gallerie con cui l’artista lavora correntemente (tranne Gagosian, non presente, Sadie Cole e Paula Cooper). Non avevo visto nulla del genere e mai alcun artista così capace di lavorare sulla percezione e sullo spazio, se si eccettuano alcuni lavori di Eliasson, con tale straordinaria unitarietà.
Stingel, che muove i primi passi nelle gallerie Milano per esporre poi in Germania ed infine decollare a New York, ha sempre un piede in Oriente e non è nuovo all’uso del colore come pasta materica più che come tinta oppure alla concezione della trama (dagli arazzi fino ai graffiti) come elemento speculativo, non solo formale, di lavori su ogni formato (anche ambientale). In questo caso supera la distinzione tra astratto e, in maniera dionisiaca e apollinea insieme, figurativo, eccellendo nella scelta di una serie di dipinti, suoi e non tutti di Pinault appunto, che meglio non potrebbero essere paragonati. Non solo per parlare di pittura, di ritratto e di citazioni alla sua poetica, ma per parlare di storia, quella di Venezia e del Palazzo, della sua relazione con un committente illuminato come fu per Fontana che creò un’operazione simile nel rapporto con chi l’invitò e il palazzo di allora – dipinti e drappeggi -  quando era di Franco Marinotti (Snia Viscosa).


Palazzo Grassi, la cui membership card quest’anno è disegnata proprio da Stingel, è prossimo a recuperare, sempre con la firma di Tadao Ando, il teatrino adiacente, chiuso dal 1983: 1000 metri quadrati e 220 posti, riaprirà il 30 maggio quando Punta della Dogana ospiterà, in occasione della Biennale d’Arte, la mostra collettiva Prima Materia che utilizza il Cubo con opere commissionate in situ.


Dal tappeto al vetro, le due grandi ed antiche eccellenze veneziane. Negli stessi giorni in cui Stingel tappezza Palazzo Grassi, Le Stanze del Vetro (un progetto museale e di ricerca nuovo nato dalla passione di Fondazione Cini e dei collezionisti svizzeri Kahane e Landau, inauguratosi lo scorso anno con una grande retrospettiva della produzione Venini firmata da Carlo Scarpa) inaugurano una prima mostra d’arte contemporanea, Fragile? firmata dal veneziano Mario Codognato, direttore della lunga stagione delle grandi mostre del contemporaneo al Museo Archeologico Nazionale e al MADRE (Napoli). Fredda e tagliente come la materia di cui discetta, perfettamente allestita e comunicata, la collettiva ha il merito di portare grandi nomi e di cimentarsi, e forse questo è un peso, per prima sul tema in chiave artista al nuovo museo.


Dopo l’impatto culturale, creativo e soprattutto curatoriale della mostra su Scarpa, questa mostra lascia la sensazione di essere molto più blockbuster di quanto vorrebbe essere (forse proprio perché è costretta in un tema ed è la prima).
 In mostra, fino al 28 luglio ad ingresso libero, 28 opere di piccolo e grande formato firmati da artisti del calibro di Marcel Duchamp (la celebre ampolla Air de Paris che fa anche da copertina al catalogo); la memorabile Terremoto in Palazzo, l’opera che Joseph Beuys creò su invito dell’indimenticato Lucio Amelio per finanziare la ricostruzione della città di Napoli dopo il tragico terremoto del 1981 (questa opera è parte della collezione Terrae Motus affatto valorizzata, che Edoardo Cycelin, ex direttore del Museo Madre dove a lungo Codognato è stato direttore della sezione Mostre, ha segregato in poche e mal gestite sale della Reggia di Caserta).
Terremoto in Palazzo è straordinaria e curiosa: per allestirla occorre di volta in volta seguire l’immagine fotografica del suo primo allestimento. Mobili vecchi si assommano, rigorosi, a schegge di vetro ed in un caso, incredibile, un grosso desco è in bilico su quattro giare da conserva.
Oltre ad artisti ampiamente conosciuti che Codognato ha presentato in diverse personali negli anni precedenti (Hirst su tutti), due lavori antitetici attorno al rapporto vetro/suono come Void di Carsten Nicolai e Barra d’Aria di Penone. Metafisica per quanto semplice e quasi respingente nella fattura (una mensola di vetro con un bicchiere d’acqua appesa troppo in alto per essere vista; un foglio con un testo straordinario) è An Oak Tree di Michael Craig-Martin. 

Mirabile un’altra piccola opera, inserita nelle belle teche de Le Stanze del Vetro (prodotte da maestranze veneziane su disegno dall’architetto che ha progettato il restyling delle sale, Annabelle Selldorf di New York, che firma per Gioni l’allestimento dell’Arsenale). Si tratta di Concreto (vetro 01) di David Batchelor. Omaggio ad un movimento brasiliano del dopoguerra, è un mattone di cemento (pare di una serie) con spuntoni di vetro colorato conficcati sul dorso.

Se non fosse Air de Paris più nota e celebrata, avrei adorato Concreto sulla cover del catalogo perché più forte a rappresentare quello che sia Marie-Rose Kahane che il Segretario Generale della Fondazione Cini, Pasquale Gagliardi, mi hanno raccontato in occasione dell’opening stampa. Kahane: “il vetro come metafora, lastre infrante come tracce di violenza ma anche lastre industriali come filtri di luce fino all’uso più astratto di tutti, la parola vetro scritta su un muro.”
Gagliardi: “ Cini è custode dell’Isola di San Giorgio ed oltre ad occuparsi del suo restauro e del suo patrimonio di conoscenza, ha in generale come mandato quello di vivificare Venezia come porta tra Oriente e Occidente. Per questo le arti decorative sono importanti, direi cruciali, ed in esse inserisco il design. In particolare per Venezia, sono gli arazzi ed i tappeti ed il vetro gli emblemi della nostra civiltà produttiva e ce ne siamo a lungo occupati con grandi mostre fino a fondare Le Stanze del Vetro con Pentagram Stiftung. Siamo anche attivi nella produzione del sapere, nella ricerca e nella valorizzazione della musica e della creatività. In particolare, per il vetro, abbiamo istituito un centro di ricerca interno. Ci occupiamo di tradizione nel senso di rapporto con il contemporaneo: tradizione viene dal latino tradere, mettere in relazione passato e futuro. Siamo immersi nella contemporaneità anche quando ci occupiamo di Canaletto. Ora invitiamo anche designer e studiosi, ad esempio tra poco arriva una studiosa cinese che sta qui sei mesi. Siamo molto vantaggiosi per aziende che vogliano offrire residenze avendo ogni facility qui sull’isola, oltre ad aver creato l’Archivio Generale del Vetro, biblioteca specializzata nell’ambito più esteso dei nostri archivi. Siamo il più importante centro studi sul vetro oggi. Ci occupiamo di design e mi piace ricordare una nostra mostra di Piranesi, proto-designer incredibile che va dal disegno al disegno industriale. La mostra adesso è a San Diego e poi andrà a Città del Messico, ha ancora occasione di andarla a vedere se l’ha persa. “