Danza, architettura, spazio e poesia tra calli e teatri. A Venezia

fino al 26 giugno la Biennale Danza e la Biennale College firmati Virgilio Sieni

sezione: blog

17-06-2016
categorie: Architettura, teatro, performance, Poesia, Slow Words,

» archivio blog

Danza, architettura, spazio e poesia tra calli e teatri. A Venezia

fino al 26 giugno la Biennale Danza e la Biennale College firmati Virgilio Sieni

Fino al 26 giugno, 12 giorni fitti di spettacoli e workshop animano per la decima volta Venezia grazie alla Biennale Danza (diretta da Virgilio Sieni): 32 spettacoli da 25 coreografi, 9 in prima mondiale e 9 in prima italiana. Tra i titoli in prima mondiale apre Kudoku (30’) di un giovane coreografo e danzatore passato anche dalla scuderia Sieni, Daniele Ninnarello che si avvale del jazz elettronico dal vivo di Dan Kinzelman (ore 17, 17 giugno Sale Apollinee in replica ore 15 18 giugno). E’ una produzione originale in cui collaborano sia istituzioni per la danza di varie regioni italiane sia un festival di musica (Novara Jazz). Altra prima mondiale, quella di Emmanuel Gat, Sunny (80’) stesso giorno alle 21.30: una coreografia originale che ancora una volta si avvale per la sua composizione creativa della musica elettronica (dal vivo) di Awir Leon (grossi sostegni alla produzione; oltre alla Biennale soprattutto Montpellier Danse e la fondazione BNP Paribas).

 

Tra le prime assolute che annoverano altri danzatori italiani, Camilla Monga (coproduzione italo/belga) il 21 giugno alle 20 con 13 Objects (35’) e Ra-Me di Lara Russo (30’) il 22, Back Pack di Francesca Foscarini (25’) al Teatrino di Palazzo Grassi, ore 16 del 23, in replica il 24, infine Adriana Borriello con Col Corpo Capisco #2 il 24 alle 21.30 e Annamaria Ajmone con Tiny Extended (35’) il 25 giugno alle 21.

 

Leone d’Oro alla Carriera la danzatrice e coreografa francese (di origini spagnole) Maguy Marin che, classe 1951, ha studiato e danzato con Maurice Béjart e dal 1986 è Cavaliere per le arti e la letteratura e nel 2003, pur non essendo americana, ha ricevuto un importante riconoscimento nazionale per la danza contemporanea (l’American Dance Festival Award). Il 18 giugno Maguy Marin presenta alle 21.30 Duo D’Eden (prima italiana, 20’) a cui seguirà un incontro moderato dal giornalista Stefano Tomassini.

 

Marin non è l’unica coreografa e danzatrice francese d’adozione, un’altra importante esponente è Nacera Belaza, di origini magrebine, che intervisteremo su Slow Words People and Stories from this World. Belaza – la cui danza si incentra su una scrittura coreografica in forma di rapsodie e versi molto simile al meccanismo che regola quella poetica – presenta due diversi lavori (La Traversée del 2014 e Sur Le Fil in prima italiana) entrambi in apertura di festival, il 17 giugno. Nei suoi spettacoli Belaza è un’artista totale: firma tutta la mise en scene fino alle luci e alla musica. Quarantenne, ha un compagnia di successo a Parigi.


Non è solo il rincorrersi tra musica dal vivo e danza da essa originata, il trait d’union di questo festival: esiste una forte sperimentazione che il curatore ha cercato e domandato tra architettura, urbanistica e musica. In particolare un progetto europeo (e un laboratorio di ‘wandering’ a cui partecipano studenti di varie discipline tra cui architetti e antropologi) a cura di Elisabetta Consonni (Spazio Ergonomico, ingresso libero, 23 giugno ore 10.30-13.30 Ca’ Giustinian) presenta un approccio nuovo (e con diverse istituzioni che si occupano d’arte e architettura, incluse università di varie nazioni) allo spazio urbano letto attraverso il corpo ed i movimenti dei danzatori. La Consonni tiene anche uno dei tanti seminari di Biennale College, intitolato ‘Abbastanza spazio per la più tenera delle attenzioni’ (il prodotto finale non è una piece ma un’installazione presentata, ad ingresso libero, dal 23 al 26 giugno dalle 10 alle 18 a Ca’ Giustinian) dove si ‘legge’ Venezia (ed i suoi flussi, turistici e non) dalla prospettiva del pedone. Perché, per dirla con Sieni, l’unica città pedonale al mondo regala processi e ispirazioni inaspettati per il corpo tersicoreo nello spazio, che fa architettura esso stesso.

 

Quest’anno, a differenza delle precedenti edizioni, i College si sviluppano lungo tutta la biennale sin da subito con una dorsale di spettacoli tutti offerti anche in replica, così è possibile non perderli nel fittissimo calendario: come sempre coprono tutta la città tra teatri campi e campielli e la sede della Biennale a Ca’ Giustinian. Si tratta di 13 spettacoli interpretati da 100 danzatori iscritti al percorso di formazione con tutti i coreografi seniori invitati ad offrire i loro spettacoli. Gli ‘allievi’ non comprendono solo giovani ma anche anziani od adolescenti e cittadini scelti da un bando (internazionale). Sieni sostiene che questa è la parte più importante della Biennale perché in Italia manca una ‘scuola’ professionalizzante di tipo ‘pubblico’. In effetti, per come sono congegnati, è vero: gli studenti, oltre a studiare una coreografia con il danzatore senior prescelto e messo a bando, sono impegnati in classi mattutine (per due settimane) di tecnica contemporanea.

Diverse le formule di abbonamento o di riduzioni, biglietti anche online e come sempre, la formula Biennale Danza+Biennale Architettura (che quest’anno ha un biglietto combinato anche con la Triennale del Design di Milano). E una piece speciale, gratis e aperta al pubblico su prenotazione (outlander@cini.it) in uno spazio splendido, il Cenacolo Palladiano all’Isola di San Giorgio: una performance tra arte e danza della compagnia inglese, di origini indiane, Shobana Jeysingh Dance (25’), prima assoluta il 18 giugno in 3 repliche.


---- Day by Day


Aprire ‘le danze’, cioè questo calendario 2016, con la cura ed il balsamo di Nacera Belaza è stato indovinato. Due creazioni concatenate – La Traversée e Sur le Fil – hanno rapito il pubblico per 40 minuti di quasi buio e di movimenti minimali ed insistenti (assolo e di gruppo) sulla circolarità. Il dono di Belaza è interconnettere ognuno del pubblico con il suo io più profondo, meglio di una terapia e meglio di qualsiasi altro rimedio. Della stessa impronta il suo lavoro (La Processione) con le numerosissime danzatrici che si sono iscritte (tutte le età e tutte le provenienze) al suo laboratorio a Biennale College. Le danzatrici (riunite in un cerchio rituale) accompagnavano gli spettatori all’interno dello spazio scenico da cui, poi, si usciva al termine della performance. Non era in questo caso un effetto voluto (il foyer del Teatrino di Palazzo Grassi accoglieva un’altra performance) ma è stato molto bello e ha reso più poetico il momento dell’abbandono dello spazio interiore che era stato creato.

Delude Emmanuel Gat con Sunny: creazione sconnessa (e lunghissima, 80 minuti) che non ha nessuna ispirazione e nessun potere di sorta, disturba in scena un’accozzaglia di gesti vuoti e ci si interroga sulla presenza di una ballerina senza un braccio, sostituito da una vistosa protesi: sensazionalismo o cosa? La domanda ha serpeggiato a lungo tra gli spettatori frustrati, molti dei quali impossibilitati a lasciare il teatro per via della tipologia di file e sedute. Delude anche nella performance creata con i giovani danzatori di Biennale College, qualche giorno dopo in un campo cittadino. Livelli di musica inusitati (da ferire le orecchie) e la stessa vuotezza a circondare il linguaggio dei corpi.

Non pervenuto il messaggio di Outlander, doveva essere una performance site specific pensata da Shobana Jeyasingh Dance Company per il Cenacolo Palladiano (Isola di San Giorgio). Non animava ne’ la funzione primordiale dello spazio e neanche ne cercava una nuova, ora che è spazio museale. Una danza lineare su un palcoscenico lungo ed alto fatta di gesti nervosi e veloci non si è amalgamata a un pur ben organizzato e graduale segno di luce (dato sia da una fila di lampadine sospese e da un forte tono magenta diffuso).


Meritatissimo il Leone d’Oro alla grande coreografa Maguy Marin e applausi scroscianti alla sua performance ‘Duo d’Eden’, 15 minuti di pura meraviglia e sfida continua alla gravità terrestre con un uomo e una donna, trasfigurati da una calzamaglia, che danzano senza mai staccarsi. Peccato per le domande alla Marin a margine dello spettacolo. L’idea del talk con il coreografo premiato è bella, ma le domande del giornalista prescelto a moderarlo erano troppo lunghe e un filo troppo professorali. A questo si sono aggiunti problemi alle cuffie della traduzione per la coreografa, che parlava in francese.

 

#Biennaledanza2016