Biennale Danza firmata Virgilio Sieni. Un tuffo nell'amore

Non convince come la scorsa Biennale Teatro di Rigola ma regala perle rare, come Enzo Cosimi.

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23-06-2014
categorie: Architettura, teatro, performance,

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Biennale Danza firmata Virgilio Sieni. Un tuffo nell'amore

Non convince come la scorsa Biennale Teatro di Rigola ma regala perle rare, come Enzo Cosimi.

Fino al 29 giugno (e fino al 18 luglio con il Vangelo Secondo Matteo), a Venezia il 9° festival della Danza (diretto da Virgilio Sieni). Sponsorizzata da Prada e molto ricca anche di spettacoli con giovanissimi delle scuole di danza, si svolge nel quadro del complessivo “rebranding” della formula Biennale operata da Koolhas, direttore dell’attuale edizione della Biennale di Architettura così come avverrà per la Biennale Teatro (College, quest’anno). Alcuni palchi, nuovi e disegnati per l’occasione, si snodano infatti, a mo’ di stazioni obbligatorie, nel percorso di quest’ultima alle Corderie dell’Arsenale. Danza e teatro quindi come performance inevitabili o, come ci ha spiegato Sieni durante la vernice della Biennale di Architettura, “siamo la colonna vertebrale di questa Biennale”.


Tornando a descrizioni più modeste, dopo i primi giorni di spettacoli, l’impronta che Sieni ha dettagliato nel catalogo è a volte slegata da quella effettivamente espressa da singole (e straordinarie) compagnie invitate dal coreografo (e quasi architetto) toscano. Infine - a differenza dell’anno scorso quando è andata in scena la prima delle tre annualità che dirigerà Sieni (era una versione College però, cioè più ridotta) - il programma cartaceo ha un’impaginazione non immadiatamente leggibile ma non deve scoraggiarvi nella fruizione delle tante esperienze coreografiche, molte delle quali gratuite nei più bei campi cittadini (un boschetto appositamente creato a Sant’Angelo e attivo per quattro ore al giorno, poi a Pisani, Novo, San Maurizio) oppure all’headquarter della Biennale (Ca’ Giustinian, a pochi passi da San Marco) ed al Teatrino di Palazzo Grassi (San Samuele), dove accedere avendo precedentemente ritirato i tagliandi gratuiti quattro giorni prima dello spettacolo (orario non stop al punto vendita a Ca’ Giustinian). Molti gli incontri con i coreografi, tutti ad ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Il Leone d’Oro quest’anno è attribuito a Steve Paxton e a Michele di Stefano (mk) quello d’Argento (accettando il premio, commosso, il coreografo del Sud Italia ha affermato “Dedico il Leone all’arrendevolezza del corpo che nasconde il coraggio”).
Oltre ad essere presente nel fitto programma del boschetto a San Maurizio, mk presenta anche un lavoro speciale a Ca’ Giustinian, firmato con l’artista veneziana (ora di stanza a Milano) Margherita Morgantin. Questi due spettacoli sono gratuiti con il tagliando precendemente ritirato, il 27 e 28 giugno alle 15.30. Fanno parte di una speciale sezione della Biennale Danza, Aura, dove trovano posto creazioni in anteprima assoluta che si concentrano su opere d’arte esposte nei musei veneziani. mk e Morgantin lavorano sul Mondo Novo, affresco di Tiepolo attualmente a Ca’ Rezzonico (concepito per una villa veneta a Mirano).

Numerose sono le riduzioni (ad esempio visitando la biennale Danza e quella di Architettura, che venerdì e sabato fino al 27 settembre chiude più tardi del solito, alle 20!) o le formule di acquisto di più biglietti, come il carnet giornaliero o l’abbonamento, infine la formula week-end. 

Ci sembra una biennale che lavora fortemente sull’amore, o sull’irriducibilità della condizione amorosa. Tuttavia Sieni ha vieppiù diviso gli spettacoli in temi: intitolata “Mondo Novo gesto luogo comunità”, è divisa in 11 sottosezioni.
Aperto in particolare raggruppa le prime assolute o prime italiane. Noi seguiremo la coreografia di Roy Assaf, giovane israeliano con il suo Six Years Later; Sweat Baby Sweat del belga Jan Martens e Marzo della figlia di Castellucci, Dewey Dell. Chiuderemo questa sezione di prime con Hunter di Meg Stuart. Molti, come quest’ultimo, sono assoli.


Una perla rara vista ad Aperto è stata Sopra di me il diluvio assolo andato in scena il 20 e 21 giugno e firmato da Enzo Cosimi, coreografo italiano assistito in questo caso anche dalla unica ballerina in scena (una delle sue preferite), l’androgina ed umbra, di stanza a Milano, Paola Lattanzi (con Lattanzi, Cosimi aveva anche lavorato sulla coreografia iniziale della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici invernali a Torino, contando anche su una composizione originale del dj e produttore techno canadese, di stanza a Berlino, Richie Hawtin).

Un lavoro denso e rigoroso, drammatico e dolce insieme, si svolge con un’ottima calibrazione scenica di colonna sonora, luci e video. Lo spazio della danza è diviso da due superfici che chiarificano sostanzialmente le due partizioni coreografiche: attorno vi sono due poltrone damascate, una scatola di latta con una scritta arancio, Empty, che contiene una lingua in mille fascette di plastica dello stesso colore fatta da un artista che la performer variamente indossa, infine fruste sciamaniche: la pièce ragiona, mai ridondante, sulla scala intima e globale insieme, sul ferale e sull’intellettuale – Apollo e Dionisio sempre presenti, raggrumati sotto la pelle di una ballerina dalla potenza assoluta che li governa e li tiene insieme con equilibrio e lucidità a tratti incredibili, il pubblico ne è visibilmente scosso. Accanto a me, in prima fila, una signora continuava a far scivolare la borsa, inchiodata dalla sua potenza.

Una donna quasi in gabbia, imprigionata chiaramente dalla sua condizione sociale, cerca altre dimensioni mentre combatte con un alter ego che la costringe a inarcarsi in posizioni strazianti o ululare versi incomprensibili, come scossa dal di dentro da una furia (la prima scena è notevole: il pubblico entra quando lo spettacolo è già “attivato”, per volontà del regista. La performer ripete tre volte un movimento che la vede scossa da convulsioni). L’Africa nel senso di neo-naturalità entra prepotente con video (dapprima in micro-visione su una tv sempre accesa, poi esplosi in una macro proiezione) realizzati appositamente nel continente da Stefano Galanti. E la feralità è testimoniata anche da una serie di ossa levigate e bianche che la tersicorea variamente usa, in un crescendo finale sottolineato dai ritmi delle musiche (Chris Watson, Petro Roa, Jon Wheeler). Nessun riferimento, neanche causale, alle note performance con le ossa di Marina Abramovic che proprio qui a Venezia le valsero un Leone d’Oro alla Biennale Arte.

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Il corpo insepolto e lo sguardo: prossemiche di una relazione amorosa
 

Parafrasando un noto poeta italiano, questa Biennale, nel riflettere cospicuamente sulle relazioni amorose, ha finora presentato altre piccole perle coreografiche sull’audace accostamento relazione amorosa – prossemica.
 

Roy Assaf, giovane coreografo israeliano, ha presentato Six Years Later dove è protagonista una coppia (lui stesso in scena con Hadar Yunger): 20 minuti densissimi e lievi, senza pausa e senza mai un secondo senza musica: la durata, compendiata, di una storia d’amore raccontata in danza, non senza humour e pathos degni del tema – i corpi a mimare, senza mai separarsi in mezzo a una scena vuota, ogni stadio dell’amore: dall’estasi iniziale alla crisi.

 

Assaf ha scelto Deefly, dj francese hip hop, per creare una partitura sonora che accogliesse (e ottimizzasse) pezzi noti, da Beethoven a Handel. Esplicitamente sollecitato sulla creazione di un tappeto sonoro continuo e ben integrato nei suoi vari registri, Deefly ha lavorato a distanza e secondo Assaf era il metodo migliore per riuscire, senza essere banali, in questa difficile scelta.

 

L’incontro di Raffaella Giordano e Maria Munoz, corredato di un testo straordinario letto durante tutto lo spettacolo (e consegnato agli spettatori) e di una scena assai centrale nella sua essenzialità (ottime luci, un fondale creato da un telo che le danzatrici attivano variamente) ragiona sulla follia e sulla trappola della convivenza. Dopo i primi 40 minuti forse indecifrabili (che hanno messo a dura prova il pubblico) il gesto coreografico diventa chiaro ed esemplare, soprattutto relativamente alla parte di Munoz e quindi d’improvviso ogni altra partizione trova sistemazione nelle menti di chi guarda. Meno imperdibile del precedente, nonostante le due grandi interpreti, è una produzione 2013 che ha già circuitato tra Spagna e Italia.

 


Nei campi cittadini, da non perdere David Zambrano, grande e appassionato coreografo cileno, di stanza in Europa, che lavora con 20 danzatori che hanno preso parte al suo workshop. A Campo Pisani, in una incredibile e rara cornice veneziana, danno vita a una pièce senza coreografia, in cui il movimento si attiva spontaneamente, dall’interazione degli uni con gli altri usando come quinte naturali il paesaggio reale. Passing Through, questo il titolo della performance, si ripete (gratuitamente) fino al 28 giugno (ore 20) e poi il 29 alle 11.30. La musica dal vivo è una grande session di batteria, ad opera di Michel De Brulle.

 


E’ il giovane Jan Martens con Sweet Baby Sweat, grandissimo, a lavorare su un tema poco esplorato: il linguaggio coreografico e la letteratura musicale, spesso scontata, sull’amore. Prima italiana, lo spettacolo è imperdibile ed è una collaborazione a sei mani: il coreografo ha lavorato con un video designer e un artista per la realizzazione della scena che si giova di un lettering proiettato – una sorta di parodia del karaoke! – e di un design luci di sicuro il più bello visto in giro. Ma è la danza a straziare: due corpi si prestano alle contorsioni più spietate per un’ora intera. Al grido di As long as you will stay I am here too (il verso principale di una canzone sull’amore che dura quattro ore, inventata ovviamente), due danzatori (l’eroica Kimmy Ligtvoet e il potentissimo Steven Michel) si lanciano in posture difficilissime con un ritmo extra-lento. Una macroscopia della tortuosità delle relazioni amorose.

 


Tra uno spettacolo e l’altro alle Tese (Arsenale) l’Accademia di Shatzu Do, invitata da Sieni, offre trattamenti gratuiti a tutti gli spettatori. Anche lo Shatzu è una pratica di movimento, secondo il curatore.

 

 

Nella sezione dedicata ai lavori prodotti dalla Biennale, vi è in particolare quella in stretta relazione con opere d’arte presenti nei musei veneziani. Michele di Stefano e Margherita Morgantin firmano 190 cm c.a. in scena anche il 28 giugno alle 15.30 (ingresso gratuito su invito ritirato in biglietteria) a Ca’ Giustinian. Non perdetelo. E’ una installazione d’arte piuttosto. Che coinvolge lo sguardo e l’attenzione. Svelarla sarebbe crudele.

  

Negli ultimi giorni di programmazione tre lavori in particolare hanno elevato mirabilmente il programma della sezione principale della Biennale (L’Association Fragile di Christian Rizzo, Marzo di Dewey Dwell e Dangerous Goods di Meg Stuart) che per dieci giorni, fino al 29 giugno ha visto in scena 42 programmi e 300 partecipanti alla sezione College (molti i giovani interpreti tra i 10 e 14 anni) per circa due milioni di budget complessivo. Il programma continuerà il prossimo mese con una prima assoluta firmata da Virgilio Sieni: Il Vangelo Secondo Matteo (4/5/6 luglio, 11/12/13 luglio, 17/18 luglio). Si tratta di una 27 quadri coreografici incentrati sulla creazione in senso biblico e sul corpo al Teatro alle Tese.


Rizzo ha portato in scena due energetiche drum machine (dal vivo, Didier Ambact e King Q4) e otto ballerini che per un’ora e mezzo hanno ballato come sincronizzati in una coreografia dal sapore densissimo, tribale, basato sul ricordo di una improvvisa danza popolare.

 

Dewey Dwell ci è sembrato il lavoro più maturo del festival in quanto a capacità di scrivere e governare la scena, nonostante creato da una pattuglia di giovanissimi, Teodora e Demetrio Castellucci, rispettivamente alla coreografia/danza e alla colonna sonora (straordinaria). Una storia d’amore e di guerra con costumi gonfiabili (firmati da Yuichi Yokoyama e realizzati da Fly Inflate e dall’Atelier Pietro Longhi) e l’estetica manga. Ogni movimento era amplificato da un’allure grafica data dalla materie di cui erano fatti i costumi. La scena – una colata di cemento a forma di pagoda – era in grado di ripercorrere millenni eppure risultare impregnata dell’estetica della club culture, grazie al ritmo travolgente.

Meg Stuart, che rilascia note di regia lunghe una pagina A4, porta in scena i suoi drammi personali, un assolo di 90 minuti in forma di autoritratto e ed un'altra incredibile esperienza scenica, mischiando audio e video in presa diretta, citazioni dal mondo della videoarte e un movimento straordinario, che spesso ruba i riflessi generati da lastre di plexiglass che sono quasi il suo sparring partner nei momenti più commoventi della pièce.

 

Hunter, forse un po’ troppo lungo ma non per questo meno interessante, termina con un monologo in cui l’artista (che lo aveva già fatto coreograficamente) si mette a nudo raccontando un lato intimo e coinvolgente. Da tempo la coreografa di Boston è di stanza in Europa, sostenuta dalla Comunità Fiamminga. Ci lascia con questa frase, mentre – vestita d’arancione con stivali di pelliccia si tormenta le ciocche di capelli biondo fluo: “Ci iniziamo a fidare di qualcuno quando smettiamo di amarlo”.



 

Il Vangelo Secondo Matteo
 

La più grande produzione (in termini di gestazione, regioni coinvolte e bilancio impiegato) della Biennale Danza 2014 è firmata dal suo curatore, Virgilio Sieni, e si concentra ancora una volta sul rapporto tra danzatori professionisti e non professionisti, in particolare le giovani generazioni, stavolta prendendo a prestito le Sacre Scritture presentate in forma rapsodica (quadri od episodi coreografici) e scelte perché, in generale, sono una tradizione comune a tanti popoli.

Vangelo Secondo Matteo è uno spettacolo composto in tre cicli (dal venerdì alla domenica nei week end dal 4 al 18 luglio) composti in tutto da 27 quadri suddivisi in più fine settimana, ciascuno diverso dall’altro e ciascuno agito grazie a splendidi musicisti che, con stili diversi, suonano la loro musica dal vivo.  Se nella fascia serale (gli spettacoli iniziano sempre alle ore 20 al Teatro alle Tese) i biglietti sono a pagamento (Euro 15), le prove diurne (ore 12, Corderie) sono gratuite (ed anche inevitabili, visto che si snodano nel percorso), fino ad esaurimento posti, per i visitatori della Biennale di Architettura.

 

Il primo week end di luglio sono andati in scena nove quadri (tra cui Insegnamento, Resurrezione, Tentazioni/Gesù nel deserto, Guarigione), dall’altissimo tasso di emotività e commozione, musicati dal vivo da Naomi Berrel (l’autrice ha presentato due brani, Corpus ed Ogni Cosa entrambi del 2014, per violoncello e voce).  In Insegnamento, un gruppo di danzatori non vedenti eseguiva coreografie accompagnati da altrettanti danzatori professionisti e vedenti (fedele fino all’ultimo, un cane da accompagnamento è stato tutto il tempo accanto alla sua padrona che danzava). Insegnamento è stato l’ultimo quadro a “spegnersi” sul finire; gli spettatori fluivano verso l’uscita perché gli altri quadri erano già terminati e questo si trovava sulla traiettoria principale. Negli spettacoli di Vangelo Secondo Matteo non esiste palco, ne’ proscenio: i quadri si svolgono all’interno di rettangoli bianchi ed il pubblico è libero di muoversi tra di essi), proprio quando erano i vedenti a prendere istruzioni dai ciechi. Due le straordinarie soliste che Sieni ha designato ad occuparsi di due quadri dal valore simbolico altissimo (Crocifissione, Guarigione): entrambe donne (la anziana Doralba Tuchtan e la giovanissima e talentuosa Arianna Ganassi) sono state le intepretazioni più toccanti e valide.

 

Il secondo ciclo – musica dal vivo della Corale G. Savani (Carpi): 43 elementi che stabiliscono anche i tempi della coreografia e occupano uno dei quadri più importanti in scena – è più dedicato alla Puglia e presenta anche un contributo di quattro raccoglitrici di pomodoro di pezze di Greco e contiene due quadri di danzatori professionisti che mettono in scena la stessa coreografia, uno in un tempo rallentato ed uno accelerato, de la Pietà_Deposizione.

 

L’ultimo appuntamento, dal 17 al 18 luglio con 9 quadri, ha la musica dal vivo di Daniele Roccato (contrabbasso) ed il lavoro sviluppato con diverse istituzioni di tre regioni italiane: Veneto, Toscana, Basilicata.