La Cina e la sua nuova era: il Covid porta tutti i nodi al pettine tra diplomazia ed economia

Una tavola rotonda video di ISPI con esperti in Oriente ed Occiedente

sezione: blog

18-05-2020
categorie: teatro, performance, Non profit, Libri,

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La Cina e la sua nuova era: il Covid porta tutti i nodi al pettine tra diplomazia ed economia

Una tavola rotonda video di ISPI con esperti in Oriente ed Occiedente

Cosa succede alle relazioni della Cina con il resto del mondo durante la pandemia e cosa succederà dopo? Qual è lo stato di salute della sua economia e quali stimoli stanno mettendo in cantiere le autorità monetarie, finanziarie e politiche e in cosa differiscono dalle precedenti grandi crisi come quella post SARS (2008-9) che comunque coincideva con una recessione mondiale partita all’estremo ovest, dal grande nemico della super-potenza comunista (gli USA)?

 

Last but not least, la necessità di migliorare la reputazione cinese darà un cambio d’aria ai vari tavoli diplomatici che negli anni la grande potenza ha tessuto per mettere l’un contro l’altro ‘armati’?

 

Una tavola rotonda ISPI ha messo un po’ di punti fermi in una situazione cangiante che è comunque inficiata - va detto - dai molti strascichi dal passato. Che la pandemia ha in molti casi acuito e in altri (forse sorprendentemente) mitigato o a cui ha fornito impreviste exit strategy a situazioni logore da molti anni.

 

Cambieranno le relazioni tra Cina e EU soprattutto tra qualche mese quando ci saranno le elezioni presidenziali USA (a maggior ragione se a vincerle sarà Trump)? 

Cominciamo da questa ultima domanda, secondo uno degli esperti che ha risposto alla nostra domanda (Frans-Paul Van der Putten, Clingedael Institute) la pressione costante e ben nota negli ultimi anni tra Usa e Cina non cambierà, che sia Trump o Biden a vincere. Con Trump ci sarà solo più incertezza. La pressione sull’EU pompata dagli Usa è e sarà sempre quella: impedire o minimizzare la fornitura da parte delle nostre imprese di beni strategici al Dragone Rosso. Qualora la UE non si adeguerà sarà considerata ‘nemico’ al pari della Cina. Che però in questi decenni non è stata con le mani in mano, avendo provveduto a ‘geopardizzare’ le sue relazioni con gli europei imbastendo molti più tavoli (e accordi) oltre alla batteria di fuoco con la UE (ad esempio gli accordi ed i benefit al blocco della piattaforma 16+1 dei paesi dell’Europa orientale e la famosa ‘Belt and Road’ che vede l’Italia in pole position tanto criticata dagli altri paesi UE di peso). Le feluche UE si sentono pesantemente infastidite da queste iniziative che mettono allo scoperto tutte le sensibilità tra UE e Cina, a cui si aggiunge qualcosa che indispettisce un po’ tutti quali la facilità dei cinesi di acquistare piccole e medie imprese tecnologiche tedesche comprando quindi prezioso know-how. 

Il Covid non ha certo impedito la continuazione del deterioramento delle relazioni UE-Cina e la cosiddetta ‘health-diplomacy’ o la diplomazia del buon samaritano (invio di medicine, dottori e macchinari alle città più colpite) non hanno aiutato ancora per il momento, piuttosto hanno scoperto di più i nervi in certi frangenti quali ad esempio apprendere che la nuova diplomazia cinese ha abbandonato la ‘voce unica’ per frastagliarsi in più narrazioni che spesso hanno reso ancora più conflittuale la relazione con singoli territori e governi.

 

Insomma la solita vecchia storia (la dipendenza dalla Cina per molte produzioni) apre anche un nuovo capitolo. E forse la crisi economica conseguente la pandemia si trasformerà irrimediabilmente in crisi politica, come sta pericolosamente avvitandosi nel continente africano dove la Cina è un enorme player e dove molte sono le economie super-indebitate a rischio default. 

Lì la diplomazia ‘medica’ cinese ha raggiunto apici e vertici mai toccati altrove, con big di peso che finanziano interventi con le loro charity (un esempio su tutti: Jack Ma). L’inasprimento della crisi economica in diversi scacchieri - Africa soprattutto - deriva dal fatto che la Cina importa materie prime e petrolio, la cui domanda è brutalmente crollata ora. E di conseguenza la domanda di prodotti finiti cinesi è collassata perché le economie fortemente dipendenti dall’economia cinese non possono più permettersi certi livelli di consumo o di sostegno ai loro debiti monstre. Un avvitamento pericoloso e inesplorato… visto che in altri scacchieri succede anche altro.

 

Cominciamo dalla Cina: il peso del debito (sommando quello pubblico, aziendale e individuale) vale ormai circa 13% del PIL, al pari degli USA. 

L’export cinese di semilavorati per la riesportazione di prodotti finiti è drammaticamente crollato da sei, sette anni e il coronavirus ha solo esasperato certi trend. Tra cui, quello più emergente: la ristrutturazione industriale cinese che tiene conto dell’esigenza di abbandonare dei settori sempre meno strategici in favore di quelli ‘imperativi’ proprio a partire da ban e sanzioni soprattutto di marca statunitense e in tema di tecnologie di comunicazione. 

 

Se nella crisi del 2008 lo stimolo cinese si concentrò sugli investimenti, stavolta sarà devoto solo a sostegno interno con l’unico fine di incentivare il consumo perché il reddito è crollato con percentuali da finimondo (da +10% a zero). La Cina taglierà drammaticamente l’import (si parla di -14% ma più di uno degli speaker mette le mani avanti dicendo che i dati cinesi non dicono tutta la verità) e questo è un chiaro indicatore che per rimettersi in sesto il Dragone si concentrerà su se’ stesso (i suoi vicini asiatici sembrano convinti che possa rimettersi prima degli USA). E forse hanno ragione perché se si guarda ad altri dati sull’import (magari più veritieri di quelli cinesi) ci sono altre nazioni a stare peggio: l’Eurozona ed il Canada.

 

Molti osservatori sembrano concordare inevitabilmente che non c’è alternativa alla supremazia cinese: non certo gli USA di Trump o una divisa e litigiosa Europa. Ma la Cina deve cambiare passo se vuole meritarsi questa influenza mondiale. Non sarà certo la diplomazia sanitaria a farla prevalere (sentimenti anti-cinesi a parte) ma più iniziative come la Belt and Road dove però si assiste preoccupati alla minore fetta di budget allocati (3,9% in confronto al circa 11% del 2019). 

 

Ne sapremo di più da domani, quando il Partito Popolare ed i banchieri centrali si riuniscono per definire i pacchetti di stimolo economici. Secondo Haihong Gao (Chinese Academy of Social Sciences) che saluta con molta importanza un lieve aumento della fiducia dei consumatori in aprile (di fronte al collasso del PIL che si attesta al 68%), il Covid è un test per la Cina che ci dirà fino a che punto è resiliente.

 

Non è certo tenera Gao, che afferma che tutti i nodi atavici dell’economia cinese stanno venendo al pettine proprio in era pandemica, ad esempio il controllo dell’inflazione fa da contraltare agli stimoli e al credito soprattutto a determinati settori e alle piccole e medie imprese (la vera spina dorsale del paese come in Italia).

 

A differenza della crisi SARS e globale del 2008/9, stavolta lo stimolo non sarà devoto al settore immobiliare o delle costruzioni ma si concentrerà su settori più smart come il tecnologico, le nuove invenzioni della comunicazione e le sue relative infrastrutture, al turismo domestico e al pompare i consumi adoperando un mix decente di misure non trascurando (saranno molti meno) gli investimenti internazionali soprattutto con le nazioni immediatamente vicine perché il ‘commercio asiatico significa attivare un mutuo recupero di zona’.

 

Nonostante una grave crisi di reputazione (inasprita dalla richiesta imperiosa di oggi da parte di oltre 100 paesi in seno alla OMS di un’inchiesta internazionale), dare ‘la colpa’ alla Cina impatterà i suoi investimenti esteri solo nel breve e medio termine, ma per altre ragioni oltre quelle del ‘blame-game’.